Il mio sogno è la Scala
Filippo Gorini, cresciuto suonando Schubert e Beethoven, ha già vinto due importanti concorsi internazionali ed è stato scelto come allievo speciale da Alfred Brendel
In questo periodo preferisco studiare Sui social vedo un’invasione di registrazioni domestiche di bassa qualità
Milanese e pianista, compirà 25 anni il 30 giugno, ha una carriera già lanciatissima dopo le vittorie ai concorsi Neuhaus di Mosca e Beethoven di Bonn, è il pupillo di un mito come Alfred Brendel e come tutti si trova a vivere l’emergenza del Coronavirus.
Filippo Gorini, come sta vivendo questo momento? «Non mi lamento per cose che non dipendono da me, le accetto. Sono saltati concerti a cui tenevo tanto: avrei dovuto suonare le Variazioni “Diabelli” al Quartetto e Schubert al Festival Pianistico, ma ora le priorità sono altre. Ho il privilegio di far coincidere lo stare a casa con l’avere tanto tempo per studiare. In questi momenti non c’è bisogno di concerti, ragion per cui non capisco questo profluvio di registrazioni domestiche di dubbia qualità postate su Facebook Se uno vuole va su Youtube e trova di meglio. Storie di medici, infermieri, di solidarietà. Come artista, vivere bene questo tempo per me significa studiare per preparare qualcosa di bello da offrire alla gente quando tornerà a poter uscire di casa e godere della bellezza dell’arte». Ad esempio?
«Sto preparando un progetto attorno all’“Arte della fuga” di Bach: concerti, lezioni, podcast in cui coinvolgo altri musicisti e intellettuali di varia provenienza a confrontarci con questo capolavoro».
A proposito di Facebook e streaming, strano un giovane che non enfatizza i social.
«Sono un fanatico delle innovazioni tecnologiche, ma ho idee mie sull’uso dei social. Li uso per segnalare i miei concerti, ma mi sembra assurdo affidarvi il mio privato: vedo artisti che postano foto mentre prendono la tisana nel backstage, sono al ristorante o in viaggio. Io non lo farò mai: chi mi vuol conoscere mi può incontrare di persointeressato na o venire a un mio concerto. Non riesco a sentirmi “amico del mondo” solo perché ho tanti contatti o like». Quando ha fatto amicizia con la musica?
«Ho iniziato a suonare a 5 anni. I miei genitori erano fisici, ma papà ascoltava tanti dischi. All’inizio me la cavavo, ma le canzoncine che suonavo non mi entusiasmavano. A 11 anni i dischi schubertiani di Brendel e beethoveniani di Kempf, che avevo ascoltato tante volte, mi risultarono del tutto nuovi e affascinanti. Mi buttai sulle Sonate di Schubert e Beethoven, suonandole male ma con entusiasmo. A 14 anni ho incontrato il mio riferimento, Maria Grazia Bellocchio: mi gettò nella dimensione più seria della musica, non lasciava passare nulla, fu duro ma decisivo».
Con Alfred Brendel?
«Fu un incontro casuale. Maria Maino mi segnalò a Brendel, lui ascoltò una mia registrazione e mi scrisse una mail dove mi chiedeva se fossi a studiare con lui. Incredibile! Ci confrontiamo su brani che lui studia da sessant’anni, mi apre un mondo; mi segue da vicino: viene ai concerti e poi mi manda commenti via mail; talvolta è contento, talaltra non tanto…».
I momenti più belli?
«La prima volta con un’orchestra, al concorso Beethoven: suonai l’Imperatore, quando l’orchestra mi avvolgeva con l’introduzione mi veniva da piangere dalla gioia. E il debutto al Quartetto, nel 2017, in Conservatorio, dove avevo visto tutti i miei miti e quella volta toccava a me».
Il sogno?
«Sono milanese. Un recital alla Scala».