Infezione record: 300 operatori
Crescono i positivi tra i sanitari senza contare gli asintomatici. Ira dei sindacati: risposte immediate «Subito un’unità di crisi, non siamo carne da macello» Via ai test nel Parco Tecnologico
Allarme in reparto a Lecco e Merate: casi più che raddoppiati in una decina di giorni.
«Non chiamateci eroi, ma carne da macello». La nota delle Rsu dell’ospedale è durissima. Casi più che raddoppiati in una decina di giorni. Erano 119 a metà marzo gli operatori sanitari in servizio nei presidi di Lecco e Merate, risultati positivi al coronavirus, ora sfiorano quota trecento: e la proporzione, in rapporto ai dipendenti, 1800 infermieri, 500 medici, si avvicina al 12%. Non solo, rappresentano un quarto di tutti i casi in provincia, 1210 a ieri sera. «Noi potenzialmente tutti positivi e fonte di contagio per gli altri», è il grido d’allarme lanciato solo pochi giorni fa da un medico lecchese in prima linea fin dall’inizio dell’emergenza, lo stesso che ora scuote la testa e si limita a dire: «È evidente che qualcosa nella catena delle misure di prevenzione all’inizio non ha funzionato, ma ormai è troppo tardi. Bisognerebbe chiudere l’ospedale, sanificarlo, fare i tamponi a tutto il personale per scoprire che i numeri dei contagi in realtà sono molto più alti e comprendono anche gli asintomatici. Ma se questi restano a casa in quarantena, poi i malati chi li cura?».
Forse gli stessi dubbi che si sta ponendo la direzione dell’Asst di Lecco, a cui fanno capo gli ospedali Manzoni e Mandic. «Confermiamo che i dati di contagio tra il personale sono inferiori ai trecento casi, tra i 270 e i 280», si limita a dire l’ufficio stampa, che fornisce però i numeri precisi dei ricoveri per Covid-19: sono 508 pazienti, di cui 424 positivi e 84 sospetti, e 166 decessi. «A partire dal 12 marzo, ogni giorno sono stati eseguiti una trentina di tamponi sul personale sanitario, circa 500 ad oggi, non so quanti dall’inizio dell’emergenza: immagino se ne debbano aggiungere altri quattrocento. Di fatto, significa che un test su tre, tra medici e infermieri, è risultato positivo — spiega Massimo Coppia, segretario della Funzione pubblica della Uil del Lario —. A Como sono solo venti i sanitari che si sono ammalati». «È necessario istituire una unità di crisi — gli fa eco il collega della Cgil Catello Tramparulo —. Abbiamo presentato una diffida al Prefetto di Lecco sul tema degli ausili di protezione in ospedale, continuiamo a chiedere che venga eseguito il tampone su tutto il personale medico e infermieristico. Serve una regia comune che coinvolga anche i sindaci per cercare di trovare una risposta». «Vogliamo interventi urgenti di sanificazione e isolamento dei pazienti. Alcuni dipendenti, preoccupati per la diffusione del contagio, hanno presentato le dimissioni senza preavviso», alzano i toni le Rsu.
Sul piatto anche l’annuncio della direzione aziendale di essere sul punto di ultimare i lavori di riconversione del presidio ospedaliero di Bellano in una struttura preposta ad ospitare i pazienti stabilizzati da Lecco e Merate in attesa di definitiva guarigione. «E anche su questo abbiamo forti dubbi. Se gli operatori del Manzoni e del Mandic non erano preparati allo tsunami coronavirus, quanto potranno esserlo quelli dell’Umberto I, svuotato negli anni passati e diventato polo esclusivamente riabilitativo?», chiede Tramparulo.
Intanto, ieri Lecco ha pianto la sua terza vittima tra i medici di base: Anna Maria Focarete, avrebbe compiuto 70 anni a giugno, studio a Olginate, dove ha curato intere generazioni.