Gli «over 85» ai giovani: imparate l’arte della pazienza
Dalle bombe di guerra alla cultura contadina: la memoria custodita e regalata ai nipoti «I ragazzi impareranno a essere pazienti»
Pierino, 87 anni, operaio; Eugenio, 87, editore; Tebaldo, 84, psichiatra, Tarcisio, 85, contadino. E ancora Gina, 97 anni, casalinga, e Filippo, 96, che ha iniziato come garzone a 12 ed è diventato dirigente delle assicurazioni. Barricato nelle case c’è un esercito formato da anziani forti prudenti e saggi. Sanno che sotto i colpi del coronavirus stiamo perdendo la loro generazione e ci tengono a dare l’ultima lezione («ultima?»). Resilienti, non mollano. «Sembra una nuova guerra», dicono, e ai ragazzi danno questo messaggio: «Imparate a essere pazienti». Un tesoro inestimabile. Hanno vissuto il coprifuoco, le avventure da sfollati, il razionamento del cibo. Sanno guardarlo in faccia, il nemico: «Quando sentii la prima volta il rumore cupo e assordante corsi sul balcone. Sopra la mia testa passò un aereo enorme, nero», racconta Eugenio Faiella, classe 1933. Legge e studia: «Se la Rai trasmettesse film di spessore potrebbe essere una grande occasione culturale per tutto il Paese». Tebaldo Galli, classe 1936, residente a Trenno e già primario di psichiatria, ha un pensiero per gli ex pazienti: «I matti, così li chiamo affettuosamente, di fronte ai pericoli reali organizzano meglio le proprie difese. Gli adolescenti invece impareranno il senso del limite», è la sua lezione. Pierino Ciborio, 87 anni, manutentore delle rotative del Corriere, abita in un caseggiato in zona Mecenate: «Siamo arrivati tutti insieme negli anni ’60, ci facciamo forza dai balconi». Quanta grinta. «Noi contadini seminiamo instancabili e siamo sempre pronti a ricominciare se la grandine distrugge il frutto del lavoro proprio nel momento del raccolto», è ancora la voce di Tarcisio Ghezzi, 85 anni. Gina Belcore, 97, ha fatto la staffetta a Mola di Bari, suo paese d’origine, e sul ballatoio scambia ricordi con la parente Marisa Giovannini, 96. «Quando arrivarono gli alleati conobbi un soldato scozzese e ci feci una figlia. In guerra c’era comunque vita». A proposito di amore sospira Pina Rao Torres, quasi 97 anni, da tre vedova: «Mio marito era anche mio cugino primo, per sposarci abbiamo avuto la dispensa papale», racconta instancabile ai pronipoti via Skype. Filippo Benaglia, 96 anni, figlio di operaia e camiciaia «forti intelligenti e pieni di dignità», sta scrivendo un libro, «I miei primi 96 anni». Fu catturato e deportato. Annota di sé in terza persona: «Dopo aver vissuto indicibili sofferenze e aver assistito alla morte di molti amici, riuscì a tornare a casa». Guardano con fiducia al futuro. Mariella Fraschini, 82 anni, già insegnante, ricama una copertina per il bisnipote che nascerà a settembre mentre Elena Barassi, 83, già docente di musicologia, vive col marito e ogni giorno va al Niguarda per la radioterapia: «In ospedale fanno le cose per bene, non bisogna avere paura». Pinuccia Calchi Novati, 84 anni, ha vinto il primo premio con un suo racconto sulla guerra, a Radio Rai: «Ci diamo coraggio tra fratelli. Io sono la sesta di otto, in 5 ci siamo ancora. Il maggiore ha 89 anni, poi c’è il prete di 85 e i due piccoli: 81 e 80 anni».