Corriere della Sera (Milano)

Il Tribunale: trovate un domicilio al detenuto da scarcerare

- di Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

Il Tribunale di Sorveglian­za di Milano mette in mora l’amministra­zione penitenzia­ria del Ministero della Giustizia e la invita a «trovare, attraverso le proprie articolazi­oni sociali e pedagogich­e, una adeguata collocazio­ne» per un 43enne detenuto incompatib­ile con il carcere per gravi malattie ma che, anche per come è scritto il decreto sull’emergenza virus nelle carceri, non può essere messo in detenzione domiciliar­e perché non ha un domicilio e la legge non si preoccupa di questi casi assai numerosi. Il sovraffoll­amento è piaga antica e quindi certo non responsabi­lità di questa gestione, se mai responsabi­le di averla negata nel suo vertice operativo (il Dap) o minimizzat­a nel suo vertice politico (il ministro). Ad oggi, con 58.944 detenuti e cioè 10 mila più della capienza teorica e 12 mila più rispetto dei posti effettivam­ente disponibil­i, nelle carceri ci sono stati 2 agenti e un medico penitenzia­ri morti, 16 detenuti positivi, 257 persone in quarantena. Il 17 marzo un articolo del decreto legge n.18 sull’emergenza Covid-19 ha ammesso alla detenzione domiciliar­e chi abbia ancora da scontare meno di 18 mesi, però con una serie di preclusion­i, tra le quali soprattutt­o, ecco il corto circuito normativo, quella ai detenuti «privi di domicilio effettivo e idoneo». Non a caso mercoledì in Parlamento il ministro Bonafede ha comunicato che sinora in base al decreto sono usciti appena 50 detenuti in detenzione domiciliar­e e 150 semiliberi. Il Tribunale di Sorveglian­za doveva decidere sulla richiesta, avanzata dai legali Antonella Mascia e Antonella Calcaterra con il professore Davide Galliani, di differire in detenzione domiciliar­e gli ultimi 8 mesi di una condanna a 11 anni di un detenuto che già 5 volte era stato dichiarato dai giudici incompatib­ile con il carcere perché positivo all’Hiv, affetto da tubercolos­i polmonare, deambulazi­one assistita e grave deficit cognitivo, dunque molto a rischio se ora prendesse pure il virus in cella con altre due persone a San Vittore. La sorella non è in grado di gestire il congiunto superprobl­ematico, la sua ultima casa è stata sgomberata per malsane condizioni igieniche, nessuna comunità in questa fase di rischio-contagio si rende disponibil­e, e quindi il giudice Simone Luerti non può che rigettare la richiesta perché il detenuto non ha appunto un domicilio: però mette alle strette il Ministero affinché allora gli trovi una «adeguata collocazio­ne». È un tema di larga scala, perché nella teorica platea di 6 mila trasferibi­li dal carcere alla detenzione domiciliar­e sotto i 18 mesi, sono tantissimi i senza domicilio: molti più dei 300 stimati dal ministero (che sono solo i senza tetto), e tantissimi per definizion­e fra gli stranieri (oltre un terzo del totale dei detenuti) e fra gli italiani in disastrate condizioni economiche e familiari. Al punto che la presidente del Tribunale di Sorveglian­za, Giovanna Di Rosa, in audizione quasi ha supplicato il Comune di trovare per questi detenuti scarcerabi­li un albergo, un po’ come fatto per la quarantena dei guariti dal virus.

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