Testimone sotto protezione: io, volontario per sdebitarmi
Ex infiltrato in un’inchiesta su traffici illeciti, ha 71 anni «Io e mia moglie abbiamo ricevuto tanto dall’Italia Darò una mano come traduttore con i medici cubani»
Il messaggio vocale inizia così: «Amigo mio caro, ciao, scusa ma ho bisogno che tu me aiuda con possibilità più grande che hai. Ti prego, aiudame».
Il mittente è un sudamericano di 71 anni, da pochi mesi in Italia, eppure già quasi interamente padrone della lingua (ne parla altre cinque). Il destinatario è un uomo delle forze dell’ordine, che per l’età potrebbe essere suo figlio, e il rapporto tra di loro, nato per esigenze lavorative, forse in effetti ci si avvicina. L’aiuto che il primo chiede al secondo, con voce concitata, accelerando sulle frasi, non ha niente a che fare con la sua posizione: è sotto protezione internazionale, alloggiato in un paese del litorale adriatico, dopo aver avuto un ruolo decisivo in un’inchiesta su traffici illeciti. Niente di tutto questo. Il vero motivo di quell’sms, partito per la prima volta dal cellulare usa e getta due giorni fa, è la richiesta di chiudere un debito: «Ti prego, insisto amigo mio, devo ringraziare gli italiani». L’anziano si offre volontario. È pronto a raggiungere la delegazione cubana smistata negli ospedali lombardi. Non verrebbe da solo, ma con la moglie, di dieci anni più giovane. Ne hanno parlato insieme. E si sono subito trovati d’accordo. Lei è infermiera. E gli ospedali hanno bisogno e lo avranno ancora a lungo, a prescindere dalle curve dei numeri dei contagi.
Abbiamo omesso molti particolari per tutelare la fonte e l’identità del protagonista, che ha un passato nei rami della chimica e della sicurezza. Sarebbe più prudente starsene a casa, anche in considerazione dei suoi 71 anni, fascia critica. Ma è un cowboy contemporaneo, sospinto da una sua precisa filosofia esistenziale, dalla sacralità dei rapporti umani, da un’impellenza quasi fisiologica di restituire quanto ricevuto. Un saldo morale, ancor prima che materiale.
Il Corriere ci ha parlato al telefono, eppure non c’è stato verso di convincerlo che l’operazione è un po’ rischiosa: sta setacciando ogni strada per dare una mano. Punto. «Quando ho sentito che cercavate interpreti, mi sono detto: “Tocca a me”. Qualcuno potrebbe obiettare che tanto è lo spagnolo, non una lingua difficile dell’Est Europa, ma vi assicuro che lo spagnolo dei cubani ha una sua determinata particolarità… Davvero, potrei servirvi. Di mio, chiedo soltanto un posto dove poter dormire, ma attenti, una tenda è perfetta».
I messaggi e poi le telefonate all’uomo delle forze dell’ordine sono incessanti. Una specie di assedio. Dice l’investigatore: «Ho attivato i miei canali per consentire la realizzazione di quello che è un sogno. Lo prenderanno per matto, alla sua età, buttarsi al fronte, dentro l’emergenza del coronavirus, con i mille rischi del caso, e invece non scherza proprio... In passato, avrebbe potuto anche sottrarsi alla nostra proposta, quella di fare l’infiltrato e di continuare a svolgere il suo lavoro di imprenditore per ascoltare, annotare, tendere trappole. Un’inchiesta lunga, sviluppatasi tra Europa e Sudamerica, che ha colpito pezzi grossi, gentaglia pericolosa. Vendicativa. Avevamo poco o niente, da offrirgli. Anzi, non avevamo niente. Non è stato immediato, automatico, costruirgli una “nuova identità”, ottenere la protezione internazionale, reperire i soldi necessari per l’appartamento e per campare, lottare contro il Sistema che non capisce, se ne frega, ti molla in mezzo al mare… Va bene così, credo che i solitari non hanno mai fantasmi a tormentarli. Questo grande uomo mi ha mandato una fotografia: la sua valigia, lo stesso borsone per lui e la moglie. Non possiedono granché e non è mai stato un problema. La stessa valigia che avevano nel giorno dell’arrivo in Italia. Forse ci sono delle missioni che valgono una carriera: la mia è sostenerlo nella sua, di missione. Se potete, passate parola. Se lo merita».
Mia moglie è infermiera, gli ospedali hanno bisogno Chiedo solo un posto in tenda