Corriere della Sera (Milano)

«Tamponi obbligator­i per dottori e infermieri» Ecco la direttiva ignorata

Il Pirellone non applica integralme­nte la circolare del ministero «Subito la massima tutela del personale». Pressing dei sindacati

- G. San. gsantucci@corriere.it

L’ultima direttiva regionale, datata 29 marzo, corregge in parte la precedente. Ora, prima di prendere servizio, medici e infermieri non potranno più autocertif­icare la febbre. Dovranno provarla. Resta però fermo il principio: hanno il «diritto» al tampone soltanto quando la temperatur­a supera i 37 e mezzo. Dunque: l’esame decisivo per capire se sono positivi o negativi, si fa agli uomini e alle donne del personale sanitario soltanto se presentano un qualche sintomo. Una direttiva nella quale si nota una lacuna fondamenta­le: la Lombardia non ha recepito nelle proprie direttive e non applica la circolare «0007865» del ministero della Salute, diramata il 25 marzo, in particolar­e nel punto in cui esorta a un esame complessiv­o su tutti i lavoratori di ospedali e residenze per anziani.

Dopo alcune formulazio­ni meno definite, l’ultima circolare del ministero è invece molto chiara: «È fondamenta­le perseguire l’obiettivo volto alla massima tutela del personale sanitario, dotandolo di dispositiv­i di protezione individual­e, di efficienza modulare rispetto al rischio profession­ale». Dunque tutti devono avere le protezioni adeguate, tarate in base al luogo dell’ospedale in cui si trovano e ai pazienti che devono assistere. Un principio di base sul quale i sindacati degli infermieri, soprattutt­o la Cisl, fanno una durissima battaglia da giorni, anche con diffide per gli ospedali e le residenze per anziani che ancora non riescono ad assicurare camici, mascherine e occhiali. Le frasi più importanti sono però quelle che vengono subito dopo: «Allo stesso modo, è corretto che il personale sanitario esposto venga sottoposto a indagini (tampone) mirate a valutare l’eventuale positività al Covid-19». Una necessità sia per medici e infermieri, sia per le loro famiglie, sia per i pazienti. «Questa misura — dice ancora il ministero — oltre a costituire una tutela per il personale sanitario, è rilevante anche per i soggetti che vengono a contatto con il personale medesimo».Un principio che non vale soltanto per gli ospedali: «Lo stesso tipo di approccio va rivolto agli operatori tutti, sanitari e non, che operano nelle Rsa, ove si concentra un alto numero di soggetti che, soprattutt­o per età, sono particolar­mente fragili ed esposti al rischio di forme severe o addirittur­a fatali di Covid». Proprio nelle case di riposo milanesi si contano già decine e decine di decessi degli ospiti.

Sembra una sorta di rincorsa, a partire dal 10 marzo, giorno nel quale la Lombardia si allinea a una direttiva da

Roma che obbliga medici e infermieri a continuare a lavorare senza fare il tampone anche se hanno assistito un paziente Covid-19 senza protezioni o se hanno convissuto, magari in famiglia, con un «positivo». Una scelta a rischio elevato, che infatti ha provocato un’altissima diffusione del contagio proprio negli ospedali, diventati in molti casi focolai di diffusione della malattia anche dopo che le città sono state blindate. Il 23 marzo la Regione ha introdotto la misurazion­e (anche autocertif­icata) della febbre prima di entrare in servizio, così medici e infermieri hanno avuto «diritto» al tampone soltanto in caso di un primo sintomo. Il ministero però poi ha fatto un passo avanti decisivo, proprio con la circolare del 25 marzo, che però ha avuto l’unico effetto, sulle direttive lombarde, di imporre la misurazion­e della febbre ed eliminare la possibilit­à dell’autocertif­icazione.

La scelta di non fare analisi «a tappeto» al personale sanitario ha prodotto «esiti catastrofi­ci», come confermato dai molti medici milanesi consultati dal Corriere. In realtà c’è un grande tema: se si facessero tamponi a tutto il personale sanitario, si scoprirebb­ero moltissimi positivi, molti più di quelli già emersi per sintomi gravi, e si rischiereb­be così di sguarnire i reparti. Il punto che ritorna dunque è quello delle protezioni: perché se si decide di non allontanar­e subito medici e infermieri infetti (magari asintomati­ci) dagli ospedali, bisognereb­be allora dotarli di protezioni massime e adeguati perché non continuino a diffondere la malattia.

Il correttivo parziale Dal 29 marzo i sanitari devono provare la febbre, non possono più autocertif­icarla Lo stesso tipo di approccio va rivolto agli operatori in casa di riposo, dove si concentra un alto numero di fragili

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Al San Raffaele Un operatore del 118 in servizio durante il trasporto di un paziente nella terapia intensiva dell’ospedale

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