Dall’Erasmus al reparto Covid «Imparo salvando gli altri»
La studentessa della Bicocca arruolata dall’ospedale di Bruxelles
Tre giornate di addestramento, dai dispositivi di protezione al funzionamento del ventilatore. Poi l’attesa. E la chiamata ieri sera è arrivata. Nella squadra di studenti chiamati a entrare in corsia come volontari per l’emergenza Covid all’ospedale Saint Pierre di Bruxelles ci sarà anche Ludovica Massa, 23 anni, iscritta al quinto anno di Medicina all’università di Milano Bicocca, in Belgio da settembre con il programma Erasmus. «La considero un’opportunità. Per imparare. E anche per essere d’aiuto», dice tutto d’un fiato. E un minuto dopo aggiunge: «Ci ho pensato. Ne ho parlato anche con mia madre, medico. Mi ha detto soltanto “lavora sempre in sicurezza, è la prima regola nel prendersi cura degli altri”».
Dal tirocinio internazionale all’ingresso in corsia in piena emergenza pandemia, in un reparto di terapia intensiva. Ludovica racconta come è andata. «Studio all’università di Bruxelles e sono tirocinante all’ospedale Saint Pierre. Quando è iniziata l’emergenza hanno subito chiamato gli specializzandi. Poi il 17 marzo l’ospedale ha chiesto anche a noi non ancora laureati, studenti del quinto e sesto anno, se eravamo disponibili a entrare come volontari. Ci avrebbero preparato e chiamato soltanto in caso di necessità. L’“addestramento” è iniziato il giorno dopo».
Corso intensivo di tre giornate. Ludovica ha chiesto come destinazione la terapia intensiva: «Si poteva scegliere fra tre percorsi, un altro gruppo è stato preparato per l’accettazione dei pazienti, per fare tamponi, e un altro ancora per seguirli dopo la dimissione dall’ospedale». Una lezioocchiali, ne teorica e due in reparto, racconta Ludovica. «Un professore ci ha spiegato come utilizzare il ventilatore, volumi e frequenze suggeriti. E ha illustrato il protocollo che stanno utilizzando, ogni dodici ore occorre pronare i pazienti. Il giorno dopo siamo entrati in una terapia intensiva e abbiamo imparato a regolare il respiratore, a mettere e togliere i filtri». Nell’ultima giornata le prove di vestizione e svestizione. Ludovica ripete ogni passaggio: «Disinfezione mani, mascherina, cuffia, camice usa e getta, fissato con tre punti di spillatrice dal secondo operatore, igiene mani, guanti, secondo camice, secondo paio di guanti. Serve la massima concentrazione anche nella svestizione, per non contaminarsi».
Dalla prossima settimana sarà in corsia. «Ci avevano detto “siete come soldati, tenetevi pronti”. Fino a ieri avevano chiamato gli altri due gruppi, ieri è arrivato il messaggio anche per noi della terapia intensiva. Presto sarà il mio turno». Ricorda la videochiamata alla mamma: «È medico di base in Sardegna a Sant’Antioco, il mio paese di origine. Capisce la situazione, anche lei è coinvolta. Mi ha detto però di lasciare stare se non mi sento protetta. Farò attenzione, perché il problema dei dispositivi che mancano c’è anche qui». Racconta l’emergenza in Belgio. «Inizialmente è stata sottovalutata come in altri Paesi, poi in ospedale hanno iniziato a bloccare visite e interventi non urgenti ed è iniziata la chiusura graduale, prima scuole e locali, poi i negozi. Adesso è tutto chiuso come in Italia. Qui però non è proibito fare attività fisica all’aperto, basta tenere la distanza». E racconta la sua scelta di restare. «La maggior parte di noi studenti Erasmus, nove su dieci, quando è iniziata l’emergenza coronavirus sono tornati a casa. Io ci ho pensato. Avrei potuto trasmettere il virus alla mia famiglia. Anche il viaggio in aereo era un rischio. Così ho scelto di fermarmi in Belgio. E poi è arrivata la proposta dell’ospedale e ho accettato. E non ho dubbi che sia un’opportunità per un futuro medico».
A giugno fine del semestre Erasmus e rientro in Italia. «Un anno di esami poi la laurea e la scuola di specializzazione, cardiologia. Intanto aggiungo nel percorso anche questo tirocinio speciale».