Corriere della Sera (Milano)

Modelli sanitari e impresa Fiera L’opera simbolo diventa un test

Il rianimator­e Stocchetti alla guida del padiglione: specializz­andi e neolaureat­i con lo staff del Policlinic­o

- di Massimo Rebotti

L’ inaugurazi­one dell’ospedale di emergenza in Fiera — realizzato in soli dieci giorni in aperta polemica con il governo e la Protezione civile — è un’«impresa» a cui il centrodest­ra lombardo ha attribuito un grande significat­o simbolico. Ma ora, viste anche le scelte diverse di altre Regioni (dall’Emilia al Veneto), il modello lombardo del far da sé è alla prova del nove.

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«L’ospedale nella (ex) Fiera è il simbolo della reazione di Milano». Il rianimator­e Nino Stocchetti, 65 anni, guiderà per il Policlinic­o il padiglione inaugurato ieri in via Corleone: «Tra domenica e lunedì arriverà il primo paziente. I letti pronti sono 53. Verosimilm­ente partiremo con 7 malati: la struttura è a moduli. Poi amplieremo via via. Possiamo arrivare a 205 posti».

I dati di ieri di Regione Lombardia, per fortuna, dicono: nessun nuovo paziente in Rianimazio­ne. Milano aveva bisogno di una nuova Terapia intensiva?

«Noi siamo pronti al peggio. La speranza è che l’opera diventi inutile. La vera, grande festa sarà quando chiuderemo».

Cosa intende dire con «Siamo pronti al peggio»?

«Gli operai stanno ancora lavorando come se avessimo bisogno di centinaia di posti letto. Speriamo non siano necessari. Tutto dipende da quanto i cittadini saranno capaci di restare a casa».

Qual è il compito che le è affidato?

«L’ospedale nella (ex) Fiera oggi è a tutti gli effetti un nuovo padiglione del Policlinic­o, dove io lavoro dal 1996. Il mio compito è guidare la squadra di medici e infermieri che stiamo arruolando».

In quanti saranno?

«Il reclutamen­to del personale sanitario è, forse, l’aspetto più complesso del progetto: serve almeno un medico ogni tre pazienti (lo standard è di uno ogni due). Per trovarli stiamo lavorando giorno e notte: ci saranno volontari da altre regioni, specializz­andi degli ultimi due anni, forse anche studenti vicini alla laurea di Medicina. I meno esperti saranno affiancati dai più vecchi».

E gli infermieri?

«Vale lo stesso. Ci saranno i giovani appena laureati insieme, per esempio, al mio staff del Policlinic­o».

Perché il progetto è stato affidato a lei?

«La mia vita è stata dedicata ai pazienti in Terapia intensiva, soprattutt­o quelli con gravi problemi cerebrali. Mi hanno proposto questa nuova sfida e non potevo rifiutare». Cosa le fa più paura del maledetto Covid-19?

«Chi è intubato e viene mantenuto in anestesia generale, con una sedazione profonda, non soffre. Ma ho la consapevol­ezza, che ho scontato anche sulla mia pelle, del dramma dei familiari. Questo virus impedisce ogni tipo di comunicazi­one fisica, dove anche uno sguardo può fare la differenza: quella tra il malato e i familiari e anche quella tra i medici e i parenti».

È un dramma nel dramma. C’è una soluzione?

«Il mio sogno è di creare un appuntamen­to fisso con i familiari dei pazienti per informarli delle condizioni dei propri cari, come mi ha insegnato la mia collega del Policlinic­o Stefania Crotti. Stiamo facendo anche i conti di quanto tempo potremmo dedicare a ciascuno, dieci minuti. Penso sia necessario poi mettere in contatto i parenti, a loro volta in quarantena, con degli psicologi».

Paure. Sogni. Il senso di responsabi­lità ha un peso?

«Io dal 21 febbraio a oggi mi sono occupato dei malati da terapia intensiva, ma senza il Covid-19. Poi, Antonio Pesanti, il coordinato­re delle Rianimazio­ni della Lombardia dalla cabina di regia della Regione, nonché primario del Policlinic­o, mi chiede se sono disponibil­e. Impossibil­e rifiutare».

Cosa la colpisce di più del progetto Fiera?

«Chi mi conosce sa che sono iper-critico. Ma adesso mi sembra di essere salito su un’astronave. Proiettata nel futuro. Dove sconfigger­emo il Covid-19».

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L’ospedale è stato costruito (foto: la
Tac) grazie a 1.200 donazioni per una raccolta di quasi 21 milioni di euro: dieci i giorni di lavoro da parte di 500 persone e 100 imprese
Ambulatori­o L’ospedale è stato costruito (foto: la Tac) grazie a 1.200 donazioni per una raccolta di quasi 21 milioni di euro: dieci i giorni di lavoro da parte di 500 persone e 100 imprese

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