Noi veterani tornati in campo
L’impegno nei paesi dell’associazione carabinieri Ambulanze e team di Protezione civile: 400 in campo «Con noi anche mogli e figli: così facciamo squadra»
Anche l’Associazione nazionale dei carabinieri scende in campo: 400 veterani con mogli e figli.
Il fuggiasco e altre storie. I 400 dell’Anc, l’associazione nazionale carabinieri che ogni giorno in Lombardia formano in media il totale degli operativi della prima linea, ne vivono di ogni, spesso in gran silenzio mediatico, e nel recentissimo passato hanno vissuto anche questa vicenda. In virtù della loro unità cinofila, una delle migliori in circolazione a detta degli esperti del settore (i cani sono per lo più Labrador), la scorsa settimana li hanno chiamati per ritrovare un cinquantenne ricoverato in un ospedale milanese, positivo al coronavirus, e scappato. È una guardia forestale, se ne stava trincerato in una baita di montagna, abbandonata e perduta fra i boschi che forse lui soltanto conosceva.
L’aneddotica dell’associazione, che in regione conta 330 sezioni, e relativa alla reazione alla pandemia, è ampia e variegata. Si comincia con la ventina di ambulanze gestite direttamente e impegnate, con proprio personale, sul fronte del primo soccorso; si passa ai nuclei di Protezione civile attivi, per esempio, negli ospedali da campo; e si prosegue nei piccoli paesi con una missione che potrebbe apparire di lieve conto e invece non lo è, anzi in certi contesti risulta determinante: far la spesa per chi non può uscire di casa, procurare medicine, mascherine e guanti, e consegnare a domicilio il tutto. Dai vertici dell’Anc, secondo una consolidata filosofia di base, invitano a non menzionare le singole individualità, in un archivio che conta pure «reduci» degli anni di piombo e di scontri con la mala del Brenta, poiché lo schema, la filosofia, il modo di operare di queste persone – carabinieri in congedo, certamente, ma che si portano dietro moltissimi familiari – è basato sul far squadra.
Anche qui ci sono state perdite, come il brigadiere Cesare Miniaci, 65 anni, a capo della sede di Grumello del Monte, in provincia di Bergamo, ucciso dal coronavirus dopo giorni di volontariato, che l’avevano visto non arretrare neanche dopo i primi segnali della malattia. Un testimone, ripetono i conoscenti e i vecchi colleghi, premettendo di voler stare lontani dalla retorica del dopo, che «ha rappresentato al meglio le nostre linee guida, ovvero la massima vicinanza possibile alla comunità». Negli anni, da «semplice» organismo di volontariato, l’associazione si è via via strutturata, arrivando a godere, in determinati campi, di una sua autonomia operativa: è lesta a intervenire su terremoti, frane, inondazioni. Una presenza capillare, bisogna ripeterlo, nelle realtà minori, dove la generosità è vitale per sopperire a un’inevitabile minor presenza di personale, mezzi, strutture. Anche viaggiando sulle proprie macchine, senza badare a spese, e tirando fuori di tasca dei soldi quando non bastano per completare la lista della spesa di anziani e malati. Succede spesso, in provincia, e in fondo è giusto così.
Nelle case
Tra le principali missioni la consegna a domicilio di medicinali e mascherine