La volontaria Minacce social La caccia agli odiatori Silvia dal pm
«Ma non ho paura»
Il secondo giorno di libertà milanese di Silvia Romano si chiude con un interrogatorio di oltre un’ora nella caserma del Ros dei carabinieri di via Lamarmora. La giovane cooperante è stata ascoltata dal pm Alberto Nobili che ieri mattina ha formalmente aperto il fascicolo per minacce aggravate dopo la pioggia di insulti e «sentenze di morte» arrivata nelle ultime ore via social. Un’inchiesta simile a quella che lo stesso pm ha già aperto a ottobre sulle minacce di morte nei confronti della senatrice a vita Liliana Segre. La caccia agli haters è partita e i carabinieri hanno già isolato decine di messaggi postati in diverse pagine Facebook contro la 24enne accusata di essere «una sporca islamica» e di «meritare la pena di morte». La famiglia cerca di farle da scudo. Silvia si dice «serena» ma chiede «tempo per ritrovarsi».
L’inchiesta sugli odiatori di Silvia Romano ricorda quella che, solo alcuni mesi fa, la procura di Milano aveva aperto sugli insulti e le minacce di morte alla senatrice a vita Liliana Segre. C’è come un denominatore comune nelle loro storie. Ed è quel ritorno a casa, quell’essere sopravvissuti al male più grande e aver ritrovato la vita che adesso, purtroppo in molti, non perdonano.
Gli haters di Silvia Romano sono un lungo elenco di persone qualunque, ma anche politici, giornalisti, tuttologi del web che in queste ore hanno riempito la Rete di insulti e minacce di morte.
Non tutti saranno perseguiti nell’inchiesta aperta ieri mattina dal capo del pool Antiterrorismo Alberto Nobili e affidata al Ros dei carabinieri, perché tra «minacce» e «libertà d’opinione» il confine è labile. E chi ha scritto «suicidati!» sotto alla sua fotografia su una pagina web non sta certo commettendo il reato di «istigazione al suicidio», né assurdamente la sta minacciando di morte. «Per questo colpire l’odio in Rete resta molto complicato», spiega un investigatore. Anche perché la vicenda di Silvia Romano è diventata una «questione politica» dove «la vita di una ragazza viene sbattuta nel tritacarne in nome di questo o quello schieramento». Ieri la 24enne e la madre Francesca sono state interrogate per più di un’ora nell’ufficio del tenente colonnello Andrea Leo, capo del Ros di Milano, al primo piano della caserma di via Lamarmora. Un interrogatorio voluto dal pm Nobili proprio per cercare di accelerare un’indagine che ha la necessità di arrivare ai primi risultati in breve tempo: prima che i commenti possano essere rimossi e gli archivi digitali cancellati.
Silvia ha detto di essere «serena», di essere scossa per le minacce ma di non avere paura. Ai suoi familiari ha detto chiesto tempo «per ritrovarmi e per affrontare questi 18 mesi». La mamma, la sorella Giulia, il papà Enzo e tutti i parenti stanno cercando di proteggerla in ogni modo. In queste ore le hanno risparmiato le immagini dei telegiornali, le trasmissioni con le polemiche sul riscatto pagato e sul suo rilascio.
Ieri, a parte l’uscita per andare in caserma, Silvia Romano è rimasta chiusa in casa, con le tapparelle abbassate, nell’appartamento di via Casoretto. La mamma, uscita rapidamente con il cagnolino, ha cercato di spegnere le polemiche sulla sua conversione: «Provate voi ad avere un parente là e vedete se non torna convertito». Il suo è uno sfogo per quanti in queste ore hanno definito sui social sua figlia come «una terrorista», una «sporca islamica», una «che deve essere giustiziata».
Per il momento il livello delle minacce non ha fatto scattare altre misure oltre a una più stretta sorveglianza del suo palazzo. Ieri, per tutta la giornata, il passaggio di volanti e pattuglie dei carabinieri è stato incessante. Sotto casa, però, oltre a una quindicina di giornalisti, soltanto i fiorai che a più riprese hanno portato mazzi e piante regalate dagli amici. In mattinata la visita del medico di famiglia, Matteo Danza: «Sta bene, come l’avete vista quando è arrivata, anche psicologicamente. Un controllo va sempre fatto dopo tanti mesi che si manca dall’Italia, è doveroso».
Ora per lei ci sarà la quarantena anti Covid prevista per chi rientra dall’estero. Per la giovane cooperante è stato messo a disposizione anche un supporto psicologico. Un aiuto che adesso sarà fondamentale per aiutarla a ritrovare quella normalità e quell’anonimato che oggi le mancano.Forse più della libertà.
Il medico «Una visita di controllo era doverosa, sta bene come l’avete vista quando è arrivata»