Malpensa per pochi intimi e un volo surreale in aereo
Termometri e «aree sterili», Malpensa al rallentatore: negozi chiusi, caffè da asporto e 9 partenze al giorno E durante il viaggio in aereo vietato fare la fila al bagno
Imonitor di servizio sono impietosi. I voli in partenza sono nove. In tutta la giornata. Quattro per Roma Fiumicino, due per Cagliari, un altro paio per Francoforte, uno per Amsterdam. Sei operati da Alitalia, due da Lufthansa (attraverso Air Dolomiti), uno da Klm. Le low cost — come easyJet, un tempo qui dominante — sono sparite. Così come i passeggeri, ridotti a 500-600 al giorno di media contro i quasi 73 mila di un anno fa. «Che poi nemmeno questi pochi aerei decollano pieni», fa i calcoli una barista di fronte ai controlli di sicurezza, che invita subito a smammare perché il caffè è da asporto, non si può più gustare nemmeno al bancone perché lo vietano le nuove norme anti-coronavirus.
Il trasporto aereo della Lombardia è qui, al Terminal 2 dell’aeroporto di Milano Malpensa, l’unico corridoio aereo d’ingresso — e d’uscita — della regione. Anche se tecnicamente aperte, a Linate e Bergamo-Orio al Serio le compagnie non si presentano ancora perché i blocchi agli spostamenti continuano e i vettori non si presentano. Sea, la società che gestisce gli impianti milanesi, ha chiuso il Terminal 1, il principale, e confinato quei pochi movimenti al T2. Una decisione presa un po’ ovunque in Europa e nel mondo.
Il piazzale è pieno di taxi parcheggiati. Se ne contano una quarantina, alle 8 di mattina, contro i sette passeggeri all’interno della struttura: una famiglia (due figli, padre e madre), una signora anziana, una più giovane e un ragazzo che a fatica spinge il carrello con su un enorme monitor da computer. Ci sono più forze dell’ordine che viaggiatori. Tutti in mascherina e passati davanti al termoscanner che rileva la temperatura corporea all’entrata.
Per passare ai varchi di sicurezza bisogna prima vedersela con un gruppo di poliziotti. Uno controlla che l’autocertificazione abbia tutti i campi compilati, l’altro comunica al telefono i dati del documento d’identità.
Ottenuto l’ok tocca aspettare che finisca la sanificazione degli strumenti, a partire dalle vaschette. Nell’«area sterile» — quella dopo i metal detector — è tutto chiuso. C’è solo un bar aperto, il secondo esercizio con le serrande su, se si considera l’altro all’entrata dello scalo. «È uno sconforto quotidiano: non si ferma quasi nessuno, meno male che ci facciamo compagnia con il personale dell’aeroporto e le forze dell’ordine», racconta un barista tra un caffè e un cappuccino. «Mi chiedo se le persone smetteranno di volare per anni o è solo il periodo e tra qualche settimana torna la ressa».
I tavoli sono preclusi da un nastro biancorosso. Più si cammina nel terminal più si diffondono nel nulla gli avvisi che invitano a mantenere le distanze, a indossare la mascherina e a non salire in aereo con più di un bagaglio a mano. Colpisce anche l’unico rumore fisso, quello dell’aria condizionata.
Al gate del volo per Roma un addetto passa col vapore i banconi e qualche posto a sedere. È un collegamento pieno di deputati e senatori. Non che interessi molto a un addetto di Sea, che non esita a redarguire un gruppo di parlamentari, quando tocca imbarcarsi, perché non stanno rispettando la distanza sociale di almeno un metro. A bordo dell’Airbus A320 i 57 passeggeri sono posizionati uno ogni tre sedili. Ulisse, la storica rivista di Alitalia, è sparita per evitare il rischio contagio. Restano soltanto i sacchetti per la nausea e i cartoncini di sicurezza (obbligatori). Al decollo si nota una distesa di velivoli parcheggiati da giorni e in attesa di tornare a volare.
Il servizio a bordo è stato eliminato. Vietate le scorribande in corridoio. E non è ammesso stare in fila al bagno. Il viceministro si guarda un film sul tablet con protagonista l’attore Vin Diesel e sottotitoli in inglese. La pellicola finisce proprio all’atterraggio a Fiumicino.
Per uscire dall’aeroporto, quasi spettrale, si ripete la doppia procedura: il controllo della temperatura e la consegna di un’autocertificazione. «Leggo che arriva da Milano», commenta il finanziere. E il volto sembra quasi corrucciarsi. «In bocca al lupo», si congeda. E non si capisce se lo dice al viaggiatore, a se stesso o al Paese.