Vivere nella Milano post virus
Una «Arch Week Marathon» sulle sfide del futuro
Che impatto avrà il virus sulle nostre città? In che modo sceglieremo di abitare nel futuro? Rinunceremo alla densità metropolitana oppure no? Se lo stanno chiedendo architetti, urbanisti, amministratori pubblici di tutto il mondo e non c’è giorno che la rete non si animi di confronti su zoom o webinar nel tentativo di dare delle risposte. La quarta edizione della Milano Arch Week non fa eccezione e, traslocata online a causa dell’emergenza sanitaria, propone domani una maratona dalle 11 alle 19. Parleranno delle sfide che si trova ad affrontare la nostra città alcuni protagonisti dell’architettura internazionale, artefici, in questi anni, di porzioni della nuova Milano come Kazuyo Sejima dello studio SANAA cui si deve il Campus Bocconi o Petra
Blaisse che ha firmato la Biblioteca degli Alberi. «Questa crisi ha imposto un nuovo modo di lavorare», sostiene Patrik Schumacher di Zaha Hadid Architects, studio che ha contribuito a plasmare l’attuale Citylife. «Il virtuale ha assunto maggior peso. Un cambio che può avere ripercussioni anche sulla città: se si lavora da casa, le case devono essere più grandi ed è logico che di conseguenza si sviluppi un modello di città diffusa, meno densa. Alla lunga, però, si verrà a creare un nuovo equilibrio».
Per affrontare la crisi attuale, si può imparare molto anche dal passato. «La grande lezione dell’architettura milanese del secondo dopoguerra», spiega Cino Zucchi che all’Arch Week parlerà del maestro Luigi Caccia Dominioni, «sta nella capacità di innestarsi con ottimismo e libertà formale nella struttura spaziale della città ferita dai bombardamenti. Fortunatamente, non possiamo buttare via una città come uno smartphone. “La vita si adatta agli spazi che si adattano alla vita”, titolo di una nostra installazione alla Biennale di Venezia, esprime bene il mio pensiero sul rapporto tra l’architettura della città e i comportamenti delle persone che la abitano. La città esistente ci aspetta là fuori, e saprà adattarsi alle nuove richieste. Nell’ossessione contemporanea per il just-in-time, è saggio progettare un’architettura just-out-of-time».
A parlare del futuro di Milano non solo architetti. Il fotografo Giovanni Hänninen con il suo reportage »Milano, chronicles of the Lockdown» ha ritratto la città svuotata dalla pandemia: «L’architettura permane, ma il suo uso è congelato. Ho deciso di documentare questo momento per creare una memoria per il futuro e per ricordarci di questa pausa anche quando la vita tornerà a essere frenetica. I cartelloni pubblicitari sono stati il fil rouge. Il vedere che in pochi giorni sono stati smontati creando delle architetture a sé stanti non più portatrici di messaggi e immagini, mi ha colpito. Un pezzo mancante, delle nostre città, delle nostre vite. Per me sono diventati metafora del periodo che stiamo vivendo, di questa pausa». Infine, suddivisi in tavoli tematici parleranno anche i progettisti selezionati per il public program dell’Urban Center insieme con l’assessore Maran e il direttore artistico di Triennale Milano, Lorenza Baroncelli.
Cino Zucchi
«La città esistente ci aspetta là fuori e saprà adattarsi alle nostre nuove esigenze»