Dal mattone riparte il Paese
De Albertis: incentivi e liquidità, i decreti non bastano
Regina De Albertis (Borio Mangiarotti e Ance giovani): «Misure choc e lotta alla burocrazia».
Il «grande edificio» della ripresa economica dipende dalla posa del primo mattone. «Ogni euro investito per costruire, ne genera tre nel lungo periodo». Regina De Albertis — direttore tecnico di Borio Mangiarotti e presidente dell’Ance giovani in rampa di lancio — getta proposte e cemento nella betoniera governativa che macina provvedimenti per la Fase 2. Misure tuttavia ancora insufficienti. «Per sostenere imprese e famiglie, tutto parte dal mattone. Serve un piano di grandi opere pubbliche e private. A parole tutti d’accordo, ma nei fatti gli interventi necessari a liberare le risorse sono stati stralciati in nome del sostegno ai consumi prima che agli investimenti: è un errore».
La manovra non basta a stimolare l’edilizia?
«La priorità dev’essere eliminare quella burocrazia che già prima dell’emergenza rendeva il sistema poco competitivo. Dove sono finiti gli interventi sulle procedure e sui tempi elevatissimi degli appalti? In Italia ci sono 750 cantieri bloccati per un valore di 62 miliardi. Si darebbe lavoro a circa 850 mila persone...». L’Ecobonus al 110% però è una misura importante.
«Sì, in linea di principio, perché ha il doppio merito di far ripartire l’edilizia puntando sull’ammodernamento del patrimonio immobiliare. Ma per essere incisivo dev’essere reso strutturale».
Cos’altro servirebbe? «Devono arrivare le risorse. C’è bisogno di liquidità per le imprese che stanno anticipando la cassa integrazione dei lavoratori e di sostegno per le famiglie, per esempio con mutui a tasso zero per la prima casa e per i lavori condominiali. Investire sull’edilizia ha un effetto moltiplicatore sul Pil di uno stato. Pubblico e privato devono lavorare assieme per ottenere risultati. Come accade a Milano». Quali sono le diversità? «Milano ha dimostrato di avere quel quid in più in grado di agevolare il lavoro dei privati e attrae investimenti che il resto del Paese non riesce a calamitare. Nella partnership con il fondo Värde (per 250 milioni di investimenti in città), e vediamo che anche loro s’interrogano sul futuro in maniera slegata dal resto d’Italia. Ma anche qui c’è bisogno di segnali». Durante il «lockdown», come avete lavorato?
«Noi costruttori siamo stati i primi a chiedere di mettere in sicurezza i cantieri: la salute viene prima di tutto. Abbiamo vissuto lo stop come un’opportunità per ristudiare i progetti e le procedure interne. A livello di interlocuzione con il Comune, dopo un primo momento di blocco, abbiamo fatto numerose riunioni operative da remoto».
Come procedono i cantieri sull’area Calchi Taeggi?
«Si tratta di un progetto su terreni per 300mila metri quadrati, con mille abitazioni da 3mila euro/mq, con negozi, uffici e 15 ettari di parco, in un’area servita dalla metropolitana rossa che in 15 minuti porta in Duomo. Avevamo iniziato a commercializzare i negozi una settimana prima del
lockdown, quindi non proprio nel migliore dei momenti, ma le richieste ci sono».
Il mercato terrà? Ci sono già tendenze evidenti?
«Noi crediamo nei grandi progetti di rigenerazione urbana, non pensiamo che la domanda crolli. L’unico precedente simile è Hong Kong dove quattro mesi dopo la Sars il mercato è ripartito. Ma è ancora presto. Intanto abbiamo recepito qualche nuova esigenza, ampliando balconi e terrazzi, e dando più luminosità agli appartamenti».
La società compie cento anni con il Covid: non il modo migliore di festeggiare... «Chi poteva immaginarlo? Però siamo ottimisti, stiamo facendo quello che ci piace, rigenerare un intero quartiere in maniera sostenibile, mettendo le persone al centro dei servizi. Bisogna ripartire da qui: scuole, infrastrutture, pubblica utilità».
E il suo futuro in Ance?
«Respiro l’associazione fin da piccola, quando mi ci portava mio padre (l’ex presidente Claudio De Albertis, ndr). È presto, a 40 anni si vedrà...».
La città Anche Milano deve dare segnali positivi agli investitori stranieri