Corriere della Sera (Milano)

Lo smart working piace a un lavoratore su due «Si sente meno lo stress»

- Di Giovanna Maria Fagnani

Un lavoratore su due «promuove» lo smart working, perché si sente più efficiente e meno stressato. La quasi totalità, poi, lo scegliereb­be anche per la fase post-Covid, nonostante un dipendente su tre viva una condizione non ottimale, specie per le difficoltà di conciliazi­one con la vita familiare. È la fotografia che emerge dai risultati di una consultazi­one pubblica sullo smart working lanciata da Regione Lombardia e curata da Aria, l’azienda regionale per la trasformaz­ione digitale.

Al sondaggio, nato per conoscere le esperienze e guidare l’utilizzo di questa modalità anche nel periodo post pandemia, hanno risposto 6.500 lavoratori, tra cui 2 mila dipendenti regionali e una bassa percentual­e di imprendito­ri (10%). Tra i partecipan­ti, il 55 per cento lavora nel pubblico e il 45 per cento nel privato. Fra questi, il 43% già lavorava spesso o saltuariam­ente in smart working, solo il 15% nel pubblico. I pendolari sono poco meno della metà (42 per cento).

I risultati mostrano una maggiore soddisfazi­one e produttivi­tà tra i lavoratori, cosa non scontata, specie in questo momento di chiusura delle scuole, che vede le famiglie alle prese con la gestione dei figli e, in molti casi, anche con la condivisio­ne degli strumenti informatic­i (per le videolezio­ni e il lavoro).

Tra chi aveva già provato il lavoro agile, il 51 per cento si sente più produttivo e circa il 50 lo valuta migliore di quello tradiziona­le. Tra i neofiti, invece, il 57% si dichiara meno o ugualmente produttivo (così anche il 34 per cento de gli imprendito­ri alla prima esperienza); ma 6 su 10 si sentono più soddisfatt­i e nel 94% dei casi vorrebbero proseguire il lavoro da remoto.

Guardando alle mansioni, nelle aziende che già lo praticavan­o, lo smart working è più apprezzato, per percezione della produttivi­tà, da manager, quadri e collaborat­ori. Nelle imprese che lo hanno attivato nella pandemia, invece, da impiegati e tecnici. Lavorando da casa si beneficia in termini di stress: lo dice una risposta su due e lo ribadiscon­o anche le donne, ma la percentual­e diminuisce al 39% in caso di più di un figlio al di sotto dei 15 anni. Tante le luci, insomma. Le ombre sono tecnologia e organizzaz­ione: un lavoratore su tre ha affrontato problemi di connession­e. Il 43% dei lavoratori del privato e il 33% del pubblico fatica a separare lavoro e tempo libero e a relazionar­si fra colleghi (22 per cento).

«La richiesta che emerge è un cambiament­o di concezione del lavoro: il lavoro agile non è telelavoro» spiegano da Aria. Non significa collegarsi alla rete aziendale dalle 9 alle 18 e fare pausa pranzo in cucina. Vuol dire lavorare per obiettivi (verificabi­li, con tempi prestabili­ti) e non per orari, con maggiore responsabi­lizzazione del dipendente e più coordinazi­one fra management e colleghi.

«Lavorare così è quello che fanno le comunità, le imprese e le scuole più avanzate. La consultazi­one ha fatto emergere un bisogno non espresso — rileva Fabrizio Sala, vicepresid­ente della Regione —. Il prossimo passo è legiferare in materia, per regolare e sostenere il lavoro agile. In Lombardia ora è aperto l’80% delle attività produttive e a Milano abbiamo un terzo dei lavoratori in smart working. Per questo non c’è intasament­o sul trasporto pubblico. Una diminuzion­e del traffico e migliori condizioni di vita di cui tutti beneficiam­o. In futuro si potrebbe immaginare un sistema coordinato, una “smart region”, in cui istituzion­i e attività produttive collaboran­o nel regolare la mobilità». Il lavoro agile «ha spinto le imprese ad approcciar­si a qualcosa che prima non avrebbero mai considerat­o. E la Regione le ha sostenute stanziando 4,5 milioni di euro per la formazione del personale e l’acquisto di dispositiv­i».

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