«Grave confondere terrorismo e religione Insistiamo sul dialogo per arginare le tensioni»
Diez, Fondazione Oasis: più confronto
Martino Diez è professore di lingua e cultura araba all’università Cattolica ed è direttore di Oasis, fondazione che promuove la conoscenza del mondo islamico e l’incontro fra cristiani e musulmani. Spiega come si è arrivati a questo clima, con minacce e attacchi per Silvia Romano dopo la sua liberazione e la conversione all’Islam.
Qual è la sua lettura di quello che è accaduto?
«La reazione di alcuni, violenta e inaccettabile, è dovuta al fatto che questo caso tocca un nervo scoperto perché si intrecciano due dimensioni molto diverse, la scelta religiosa personale e il terrorismo, in questa vicenda i due piani si presentano insieme perché la giovane è stata rapita dal gruppo terroristico di
Al-Shabaab ed è in quel contesto che ha incontrato l’Islam. Quello che si deve fare è tenere separate le due cose. Dobbiamo lasciare aperta la domanda sulla scelta religiosa perché è impossibile valutare la conversione di questa giovane anche per la forte pressione a cui è stata sottoposta. E dobbiamo difendere la libertà religiosa limitandoci a riaffermare lo stato di diritto di cui noi italiani siamo fieri e che ci dà questa libertà che nella maggior parte dei paesi musulmani non esiste». Come si arriva invece a questo clima?
«C’è chi ha imitato al contrario la logica sbagliata dei jihadisti che dicono che tutti i somali devono essere musulmani e ha agito come se tutti gli italiani dovessero essere
La fede Sulla sua conversione abbiamo visto anche un certo trionfalismo fra i musulmani Un errore che si doveva evitare
cristiani. Questa non è certo la posizione della Chiesa, che è molto pacata. E chi agisce così è solo identitariamente cristiano. Contrappone identità a identità. Un errore. E si arriva alle conseguenze che abbiamo visto. Ma ci sono anche altre considerazioni».
Può spiegare?
«Su questa conversione chi ha a cuore la dimensione religiosa dell’Islam si è saggiamente astenuto dal commentare ma fra i musulmani c’è stato anche un certo trionfalismo, un errore che si potrebbe evitare. Anche perché Silvia Romano ha conosciuto un Islam fondamentalista e molti non si riconoscono in quell’Islam, i jihadisti sono ritenuti dalle autorità religiose musulmane una forma deviante, li chiamano kharijiti, eretici».
Sono errori ancora comuni, anche in una città multietnica come Milano e negli anni del dialogo fra religioni?
«Li abbiamo visti in questi giorni. Il primo è considerare tutti i musulmani come una realtà unica, il monolite. Il secondo è associare l’Islam al terrorismo. E il terzo è confondere piano politico e religioso. Ma su questo ultimo punto anche i movimenti islamisti hanno una responsabilità. La confusione c’è anche nel mondo musulmano, anche se molti ritengono che non ci debba essere questo schiacciamento fra religione e politica».
La strada che la fondazione Oasis come altri indica è il dialogo interreligioso.
«Certamente ed è una realtà in crescita, fatta non solo di documenti ma di esperienze concrete. Ciò di cui abbiamo bisogno è una conoscenza serena della religione dell’altro. Conoscenza, riflessione, incontro, questa è la via. Però lo vedo ancora anche fra gli universitari del mio corso di lingua araba con cui studiamo il Corano, ci sono cristiani e musulmani, e tutti conoscono poco le religioni, anche la propria. È da lì che si deve partire».