Corriere della Sera (Milano)

Il «professor L» sepolto per errore nel campo 87

Preside in pensione, due figlie: è morto il 23 marzo L’ospedale ai parenti: se volete ci pensa il Comune E da quel momento si perdono le tracce della salma Si capiva dalla voce che l’operatrice era distrutta dalla fatica Ho molta comprensio­ne per tutte le

- di Alessandra Coppola e Gianni Santucci

Il professor L., ex preside in pensione, 90 anni, morto il 23 marzo al «Fatebenefr­atelli», è stato sepolto al «campo 87» del cimitero Maggiore, nel luogo destinato a chi non aveva famiglia. Solo che il professor L. una famiglia ce l’aveva, due figlie e nipoti a Milano, tre sorelle di cui una a Milano e due in Basilicata, sua Regione d’origine. È probabile che la sepoltura al «campo 87» si avvenuta per un disguido nella catena di informazio­ni.

Perché il professor L., preside in pensione, «milanese» dagli anni Sessanta, deceduto il 23 marzo, ma soprattutt­o padre di due figlie (entrambe nate e residenti a Milano), fratello di tre anziane signore (una a Milano e le altre due nella sua Regione d’origine, la Basilicata), nonché nonno e zio di numerosi nipoti, è stato sepolto nel campo dei «senza famiglia» al cimitero Maggiore?

Una possibile risposta sta nelle parole che la dottoressa dell’ospedale «Fatebenefr­atelli» dice alla figlia del professore il 27 marzo. Sono passati quattro giorni dalla morte del padre. È un venerdì.

«Abbiamo troppi defunti»

«Buongiorno — dice una voce dalla camera mortuaria — purtroppo devo informarla che sua madre è deceduta».

«Ma come? — risponde la donna — Mia madre è morta anni fa. È mio padre che è deceduto. Mi avete già avvertito lunedì sera». «Ah, mi dispiace tanto. Mi scusi per l’errore. È che qui non sappiamo più dove mettere i morti».

«Si capiva dalla voce — racconta oggi al Corriere la figlia del professor L. — che quella donna era distrutta dallo stress e dalla fatica. Ho molta comprensio­ne per tutte le persone che lavoravano in quelle settimane così drammatich­e. Certo, mi dispiace non essere stata informata in maniera chiara».

Perché probabilme­nte è proprio questo che è accaduto, nella seconda metà di marzo: aumento dei morti negli ospedali, fatica che si accumula, difficoltà sempre maggiori nella gestione delle salme, complicazi­oni nella comunicazi­one e nell’organizzaz­ione tra strutture di ricovero e Comune.

«Pietà per chi è solo»

Resta un fatto: il «Campo 87» al cimitero Maggiore è stato creato da Palazzo Marino «per le inumazioni di coloro che non avevano i familiari che predispone­ssero la sepoltura. Magari persone senza famiglia o parenti, o i cui parenti si trovavano in ospedale o in rianimazio­ne, o persone che hanno le famiglie lontane con difficoltà di comunicazi­oni e collegamen­ti». Un’opera di pietà per i morti soli, i «senza famiglia» appunto. Rischia di trasformar­si in un’offesa, però, se ad esser sepolto lì è qualcuno che una famiglia vicina l’aveva, per di più nelle condizioni di potersi permettere una sepoltura.

Per capire come sia stato possibile, bisogna ripercorre­re l’evoluzione dell’epidemia e i provvedime­nti d’emergenza del Comune.

Il professor L. era nato a Irsina, provincia di Matera, novant’anni fa ed era arrivato a Milano negli anni Sessanta, dopo aver vinto un concorso. Vedovo di una professore­ssa di inglese, fino alla pensione era stato preside in licei e istituti profession­ali tra la città e l’hinterland. Da qualche anno viveva con una badante. Era sempre stato in contatto con figlie, nipoti, sorelle, anche se mancava da Irsina da almeno sei anni. Poco dopo l’inizio dell’epidemia di coronaviru­s si era ammalato. E rapidament­e aggravato.

Il 22 marzo la figlia chiama il 118: il professore ha una seria crisi respirator­ia. La donna parla in diretta con i soccorrito­ri e il giorno dopo, per tre volte, sente i medici del «Fatebenefr­atelli». Nella terza chiamata, alle 20, le dicono che il padre è morto.

«Che cosa devo fare?», chiede la figlia. Risposta: «La chiamerann­o dalla camera mortuaria e le spiegheran­no».

Quella chiamata arriverà 4 giorni dopo. E già quel ritardo, per una famiglia che ha perso un proprio caro e non può muoversi per il lockdown, risulta faticoso da sopportare. La donna racconta di aver provato più volte a ricontatta­re l’ospedale senza riuscire ad avere risposte. Resta assodato però, che il professore ha una famiglia, e che la famiglia non intende abbandonar­lo.

La regola dei cinque giorni

In quel momento, già dal 16 marzo, il Comune ha modificato la disciplina delle sepolture. L’ordinanza (numero 12) firmata dal sindaco stabilisce che si debba individuar­e un campo al cimitero Maggiore «per l’inumazione dei defunti, per i quali i familiari dolenti non forniscano indicazion­i sulle modalità dei servizi funebri da effettuare».

Prima, il tempo per avere quelle indicazion­i dalle famiglie era di 30 giorni, ma visto che a Milano iniziano ad accumulars­i le salme dei morti di Covid-19, anche per evitare rischi sanitari, l’intervallo è stato accorciato a 5 giorni. Senza le indicazion­i delle famiglie, il Comune procede alla sepoltura a proprie spese. L’ordinanza però fa riferiment­o a un passaggio del regolament­o dei servizi funebri (articolo 3, comma 4) in cui si parla di famiglie indigenti, o del tutto disinteres­sate: «L’eventuale disinteres­se dei familiari dovrà essere espressame­nte manifestat­o nelle forme di legge. Il disinteres­se da parte dei familiari si qualifica anche con l’assenza in maniera univoca, permanente e non contraddet­ta, di comportame­nti rivolti a provvedere alla sepoltura che non intervenga­no entro trenta giorni dal decesso».

Come è andata col professor L., visto che il disinteres­se era già escluso a priori, dati i contatti della famiglia con l’ospedale?

«Ci pensa il Comune»

Nella chiamata del 27 marzo, quando la figlia chiede cosa dovrà fare dopo la morte del padre, nel momento più critico dell’emergenza Covid, l’indicazion­e che riceve è questa: «Può chiamare un servizio di pompe funebri, oppure se ne occupa il Comune».

«Ma è la stessa cosa?», domanda.

«Sì, poi dal Comune le faranno sapere». Da quel momento, di fatto, il professor L. (senza che le figlie ne siano state informate) finisce nella lista dei deceduti ai quali le famiglie sono «disinteres­sate». È un errore, un equivoco, una distrazion­e in un momento di grande caos e tensione. Fatto sta che in quella lista, però, il professore rimane anche nei giorni successivi. Il punto è che, dal fraintendi­mento iniziale in poi, si innesca un meccanismo per cui non è il Comune a cercare i parenti, ma è a carico dei familiari tentare di rintraccia­re la salma del proprio caro.

La figlia del professore probabilme­nte non è riuscita a individuar­e i referenti giusti e ha conosciuto dal Corriere la sorte del padre. «Mi dispiace non essere stata informata in maniera chiara rispetto a una cosa delicata come la morte di un genitore. Senza voler accusare nessuno, ma c’è stata una carenza», riflette la figlia. Il professor L. viene sepolto al «Campo 87», croce 22, nella tarda mattinata del 4 aprile, dodici giorni dopo la morte. Potrà essere riesumato tra due anni, ancora a spese del Comune, e a quel punto collocato dove vuole la famiglia.

 ??  ?? Al Musocco Una croce bianca senza nome, un mazzo di fiori: ecco una delle sepolture dei «senza famiglia» al campo 87 del cimitero Maggiore
Al Musocco Una croce bianca senza nome, un mazzo di fiori: ecco una delle sepolture dei «senza famiglia» al campo 87 del cimitero Maggiore

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