Corriere della Sera (Milano)

Milano in analisi «L’identità ferita ora va curata con i simboli»

Lella Ravasi psicanaliz­za la Milano del Covid «Non è una guerra, sono crollate le finte certezze Il Duomo, la Madonnina: c’è bisogno di simboli»

- di Giangiacom­o Schiavi

Abbiamo toccato il senso del limite. Pensavamo di essere onnipotent­i, invece ci siamo trovati davanti all’essenziale, a quel che conta davvero». La psicanalis­ta Lella Ravasi Bellocchio osserva la realtà milanese all’indomani della ripartenza e dopo due mesi di stop forzato. «Quello che è successo ha aperto un vuoto. Ora dobbiamo riempirlo di significat­i».

Milano, il Duomo, la Madonnina. Prima l’arcivescov­o Delpini, che prega con i versi di una storica canzone. Poi il sindaco Sala che invoca protezione per i suoi cittadini. Da lassù una volta veniva anche un messaggio, si vedevano passare i treni ed erano quelli del lavoro, della speranza, della vita. Ma oggi che cosa significa questo pellegrina­ggio, in apparenza mediatico, per centinaia di migliaia di cittadini con la mascherina, negozianti preoccupat­i, artisti senza pubblico, studenti lontano dalle scuole, milanesi senza Milano? «È un bisogno di senso», dice Lella Ravasi, psicanalis­ta, abituata al lavoro di cura e all’esplorazio­ne del dolore. Bisogno di definire un percorso, di darsi nuovi obiettivi, di essere ancora Milano.

La città che si risveglia e cerca di ritrovarsi nei suoi antichi simboli è sfidata a cambiare: non si può fermare nonostante lo smarriment­o provocato dalla lunga clausura, ma dopo aver corso coi primati intestando­si la leadership nel Paese, si è scoperta fragile, vulnerabil­e. «Con il Covid abbiamo toccato il senso del limite. Pensavamo di essere onnipotent­i, invece ci siamo trovati davanti all’essenziale, a quel che conta davvero. Con la pandemia c’è stato un esame di realtà dentro la nostra memoria, quello che è successo ha aperto un vuoto. Ora dobbiamo riempirlo di significat­i», spiega Ravasi.

Ed ecco il Duomo, la Madonnina, qualcosa di evocativo anche di un miracolo come quello contenuto in un vecchio film di Zavattini e De Sica, con le scope volanti che partono dalla stessa piazza, la ricerca di senso che è fuga dalla miseria e dalle ingiustizi­e della vita. «Si passa sempre da piazza Duomo e anch’io mi vedo lì, con orgoglio, da milanese, per averla attraversa­ta tante volte nei momenti di gioia e in quelli del dolore. La piazza riassume sempre l’anima della città».

Come nel Dopoguerra, è stato detto. «Ma questa non è la guerra, è un’altra cosa. Allora si usciva da una lunga dittatura, finiva il fascismo, cominciava la democrazia. C’era voglia di uscire, di andare a ballare, a teatro, al cinema. Oggi veniamo da una sensazione di falsa libertà, i teatri sono chiusi, la Scala non può aprire al pubblico… Non sono crollate le case, sono crollate alcune finte certezze. Ognuno di noi si è trovato nudo e con meno trucchi a disposizio­ne. Ha vissuto il dolore, ha visto la sofferenza, si è trovato tra la fine e la finitudine, in cerca di una luce, di un lampadiere…. Abbiamo sentito tutti un grande bisogno di cura...».

È da questo vissuto che una psicanalis­ta abituata a leggere sogni e paure individua una traccia per il futuro di Milano, un antidoto alla depression­e che si lega agli antichi simboli, alla capacità di creare nuovi campi di forza e nuovi spiriti guida. Che cosa ci può salvare dallo scoraggiam­ento e dalla sfiducia, dal rischio di perdita di attrattivi­tà e leadership? «Ci salverà l’umanità, la rappresent­azione etica che passa attraverso lo spirito di servizio. Come quello di chi si è preso cura dei malati e delle fragilità. Non perché ha inventato qualcosa di nuovo, ma perché si è messo in gioco. Ha dato un senso profondo anche al proprio lavoro, è stato di aiuto agli altri. La nostra umanità sofferente è ancora capace di inventare un futuro possibile».

Una Milano un po’ più umile, ma non dimessa, è quella che si deve rimettere in moto, in attesa di riaprire di nuovi i teatri, i cinema, la Scala, il Piccolo, la Triennale, il Parenti e i luoghi della nuova attrattivi­tà. «Bisogna tenere accese le luci dell’intelligen­za interiore, in questi anni ci siamo svuotati di senso. È quello che ci hanno detto in maniera diversa l’arcivescov­o e il sindaco dal tetto del Duomo. Ed è la direzione indicata da Papa Francesco con il discorso di Assisi, il nuovo umanesimo, il rispetto per l’ambiente, la fine della banalizzaz­ione…».

Serviranno gesti ed esempi per segnare nuovi percorsi in una città che aveva una sua rotta fino a ieri ben definita. Servirà anche un po’ di autocritic­a, per l’impreparaz­ione e le dimentican­ze di questi anni e gli errori di questi tre mesi di pandemia, non soltanto da attribuire a Roma. Toccherà alla politica, agli imprendito­ri, agli architetti, agli economisti, alle classi dirigenti il compito di tradurre un pensiero come la richiesta di senso in un progetto, come aveva fatto Francesco Brioschi fondatore del Politecnic­o, quando aveva indicato Milano come città del sapere utile, capace di sviluppare l’arte della convivenza, mirata però alla soluzione dei problemi.

Oggi si parla di nuova economia della salute, e Milano potrebbe diventarne la capitale. Servirebbe un polo pubblico della ricerca e della cura, capace di riunire aree produttive, tecnologie digitali, mondo del commercio e dell’istruzione. Una leva capace di far salire il Pil in alcuni settori di cui in futuro ci sarà certamente bisogno. Per un’economia della vita, dove capitale economico e sociale si possano fondere nel capitale di cui abbiamo avvertito in questi mesi l’esigenza, e a volte la mancanza: il capitale umano.

Un nuovo umanesimo Dobbiamo tenere accese le luci dell’intelligen­za interiore, in questi anni ci siamo svuotati di senso

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(foto Furlan / LaPresse) In tram Un passeggero Atm in via Broletto davanti al maxiposter dedicato dallo stilista Giorgio Armani a medici e infermieri italiani

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