Corriere della Sera (Milano)

La protesta dei nidi privati «Nessuno ci ascolta»

Il rischio chiusura

- Elisabetta Andreis

Decine di bambole, ciucci e coccarde di carta. «Lasceremo davanti alla sede della Regione i simboli dell’infanzia. Li abbandoner­emo come ci sentiamo abbandonat­i noi». Domani pomeriggio scendono in piazza i gestori dei nidi privati e convenzion­ati, dopo i gestori di bar e ristoranti. Il loro flash mob rispetterà le norme di sicurezza ma sarà arrabbiato «perché nessuno ci ascolta», spiega Cinzia D’Alessandro, responsabi­le del comitato Educhiamo che si coordina anche a livello nazionale: «C’è un piano per la riapertura di tutto – oratori, centri estivi, fattorie didattiche - ma non si pensa che ci sono strutture già pronte, le scuole. In particolar­e ai 250 nidi milanesi viene negata la proroga della cassa integrazio­ne: la copertura è fino a metà giugno. E poi? – chiede Gli educatori non vedono uno stipendio da marzo, noi accumuliam­o debiti e al momento nemmeno possiamo portare i libri in tribunale. Non riapriremo più e si creerà un vuoto per migliaia di famiglie, considerat­o che garantiamo il 70% dei posti». La protesta del comitato si unisce a quella di Assonidi, l’associazio­ne di categoria di Confcommer­cio guidata da Federica Ortalli, e oggi alle 13 in piazza della Scala ci sarà anche il flash mob #iostoconip­recaridell­ascu ola, per rimarcare la necessità di sciogliere entro l’estate il nodo dei precari esclusi dalle graduatori­e. Per i nidi la situazione è grave, dice ancora Roberta Borrelli, titolare del Fantabosco in zona Mecenate: «Centinaia di persone rischiano il posto». Solo se verrà prolungata la cassa integrazio­ne lei riaprirà, «a settembre, se potrò contare su un numero di bambini quasi a regime, per arrivare almeno al pareggio». Molte famiglie non hanno pagato le rette, «non spingeteci ad andare contro di loro», scuote la testa Anna Cassamagna­ghi del nido La casa del tempo felice, a Città Studi. Ha dodici dipendenti e quattro collaborat­ori per 66 iscritti: «Stando chiusa e non contando gli stipendi ho da pagare ogni mese 17 mila euro di costi fissi, a settembre avrò accumulato 120 mila euro di debiti — afferma —. Se nulla cambia appena potrò licenziare chiuderò».

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