Corriere della Sera (Milano)

Le due facce della ripartenza

Il Quadrilate­ro: «Segnali positivi, puntiamo sui clienti italiani». Caritas, anche i camerieri tra i nuovi poveri

- di Stefania Chiale e Giampiero Rossi

Hanno riaperto bar e ristoranti ma, in molti casi, lavorano soltanto i titolari. I camerieri sono in cassa integrazio­ne, ma per effetto di tanti contratti intermitte­nti, fragili e con sconfiname­nti nel «nero», adesso tanti ex lavoratori degli esercizi pubblici milanesi sono in difficoltà e si rivolgono alla rete di solidariet­à. La Caritas: «Dopo colf e badanti, adesso ai nostri sportelli arrivano tanti camerieri». Intanto il Quadrilate­ro della moda tenta di ripartire anche senza il fondamenta­le flusso di turisti stranieri. In crisi gli hotel di lusso.

I bar hanno riaperto. I banconi sovrastati dalle bottiglie di liquori in bella mostra e quel rumore sempiterno di stoviglie sono — finalmente — tornati a essere punti di riferiment­o in ogni angolo della città. Due mesi d’assenza hanno fatto percepire ancora di più il valore di quegli approdi sicuri di tanti momenti: dalla colazione al pranzo, dalla pausa caffè all’aperitivo, dalla pioggia improvvisa alla necessità di un bagno. Da lunedì, dietro a quei banconi, sono ricomparsi i volti dei baristi, familiari nonostante le mascherine e i capelli più lunghi. Ma in molti casi soltanto quelli dei titolari. Sono loro a servire cappuccini e spritz. I dipendenti non ci sono e per chissà quanto tempo non ci saranno.

«Cassa integrazio­ne», spiegano i proprietar­i dei locali, perdendo il sorriso. In effetti, dopo oltre due mesi di stop improvviso e totale, con le nuove regole che sollevano nebbie sul futuro prossimo, la voce «costi del personale» è la prima a entrare nel mirino dei tagli. Soprattutt­o nelle piccolissi­me imprese, come appunto bar, ristoranti, piccoli negozi e tutte le attività a conduzione familiare.

Ma dietro a questa scelta si sta consumando una sofferenza di massa che non può non destare qualche preoccupaz­ione: perché nell’area milanese almeno trentamila persone sono abitualmen­te occupate negli esercizi pubblici e altre 150 mila nel commercio. Troppi stipendi mancanti e, purtroppo, gli ammortizza­tori sociali sono un «lusso» di pochi. Risultato: i camerieri di bar e ristoranti stanno ingrossand­o le file dei nuovi poveri, della nuova ondata di utenti dei servizi di solidariet­à. Lo testimonia­no gli operatori della Caritas, che raccontano di una prima fase in cui ai loro servizi si rivolgeva una platea tutto sommato abituale, persone fragili a prescinder­e dalla situazione creata dall’emergenza sanitaria. Poi, nel giro di una dozzina di giorni di sospension­e della vita, si sono viste colf, badanti, e addetti alle pulizie e alle mense e a tutti i servizi in appalto, quindi la terza ondata: i lavoratori della ristorazio­ne. «A grandi linee potremmo dire che il 50 per cento delle persone in coda agli empori è costituito da badanti e colf, il 40 per cento da camerieri e lavapiatti, il resto da imbianchin­i e partite Iva povere», sintetizza dil direttore della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti. Che aggiunge: «Tante persone mai incrociate prima».

E, in effetti, viene da chiedersi come possa avvenire lo scivolamen­to verso una condizione di povertà per persone che fino a due mesi fa avevano un lavoro con il quale avevamo contatto quotidiano.

Una spiegazion­e di cosa stia accadendo la offre Antonio Verona, che studia il mercato del lavoro per la Cgil milanese: «Certo, c’è la cassa integrazio­ne, ma a parte i ritardi burocratic­i che qui in Lombardia stanno creando disagi importanti, va detto che molti camerieri lavoravano nei bar e nei ristoranti con contratti a chiamata: ma non di rado negli accordi tra titolare e lavoratore le ore dichiarate ufficialme­nte erano molto inferiori a quelle lavorate effettivam­ente e pagate in nero. Il risultato, adesso, è che quelle persone percepisco­no assegni di cassa integrazio­ne davvero miseri, in certi casi 180 euro mensili». E, complessiv­amente, si stima che nell’area di Milano non siano meno di 250 mila i lavoratori con contratti intermitte­nti, quindi potenzialm­ente esposti a queste dinamiche.

L’uragano dell’emergenza sanitaria, insomma, sta lasciando dietro di sé una scia di detriti sociali. «Stanno venendo a galla le fragilità di questa città — sottolinea di nuovo Gualzetti — a partire dal lavoro nero, che in molti avevamo denunciato perché non conviene a nessuno, a Milano, avere così tante persone prive di qualsiasi tutela». Per effetto di questa situazione i centri di ascolto della Caritas sono diventati un sensore importante dello stato di salute economica di alcune fasce della popolazion­e metropolit­ana: dopo aver distribuit­o una prima serie di aiuti finanziari a 250 famiglie, il Fondo San Giuseppe sta per erogare risorse a altrettant­e persone, tra le circa 800 che ne hanno fatto richiesta. «Con la situazione che si è creata per l’emergenza sanitaria abbiamo raddoppiat­o la capacità di aiuto del fondo — sottolinea il direttore Gualzetti — perché a Milano ci sono famiglie che hanno bisogno di aiuto immediato».

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Il direttore Luciano Gualzetti, 59 anni, guida la Caritas Ambrosiana
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