Rsa, scattano le cause civili
Al Pat il dramma di un anziano che si è tolto la vita Il Comitato parenti: consentiteci i colloqui con il vetro protettivo. «Girola» e «Palazzolo»: misure rispettate
Iparenti chiedono al Pat soluzioni per rivedere gli anziani. Venti cause civili contro il Don Gnocchi.
Ha preso un lenzuolo, lo ha legato alla sbarra sopra il letto, se lo è stretto al collo, si è lasciato andare. Lo hanno trovato alle 18.30 di domenica, nel reparto «San Carlo» del Pio Albergo Trivulzio. Non ha a che fare con l’epidemia di Covid il suicidio del paziente 80enne ricoverato tra i malati di Alzheimer. Era tormentato dalla sua malattia, ma anche lucido, e se qualcosa dell’attuale epidemia potrebbe aver avuto un ruolo nell’accaduto sarebbe solo per il senso di solitudine, che è in qualche modo l’unica spiegazione che medici e infermieri riescono a darsi, nella struttura per il ricovero di anziani devastata dal contagio.
L’isolamento delle case di riposo, con le visite dei parenti chiuse da inizio marzo, sta provocando un oggettivo disagio ai pazienti. È su questo punto che richiama l’attenzione una richiesta (per ora negata) fatta da Alessandro Azzoni, portavoce del Comitato verità e giustizia per le vittime del Trivulzio: «Da troppo tempo, ormai, gli anziani soffrono senza nemmeno il conforto degli sguardi e dei sorrisi dei loro familiari. Abbiamo chiesto alla direzione del Trivulzio di approntare misure di sicurezza per consentire agli ospiti di vedere i propri parenti almeno attraverso un vetro, come avviene nelle Rsa e negli ospedali di tutto il mondo». La richiesta è stata negata (almeno a fino a fine maggio) e sarà esaminata in un tavolo tecnico con i parenti. Nella lettera di risposta, il dg (indagato), Giuseppe Calicchio, spiega che medici e personale «si stanno dedicando agli ospiti presenti con sempre più dedizione e cura». E aggiunge: la «situazione emergenziale, per quanto appaia volta alla normalizzazione, permane ancora difficoltosa e complessa. I tecnici e gli esperti hanno informato la struttura che il numero dei contagiati è di molto superiore a quello dei casi noti».
Ieri il prefetto Renato Saccone ha visitato la «centrale unica dimissioni» (che ha sede al Pat e di fatto gestisce tutte le dimissioni dagli ospedali delle persone che non possono rientrare nelle proprie abitazioni). Il prefetto si è limitato a dire che la visita «rappresenta un riconoscimento per il lavoro svolto dai sanitari».
In questi giorni intanto stanno arrivando decine di richieste di risarcimento dalle famiglie degli anziani deceduti nelle Rsa durante l’epidemia. L’avvocato Romolo Reboa ha depositato le prime venti, indirizzate al «Palazzolo» e al «Girola», entrambe sedi della «Fondazione Don Gnocchi», che conta più di 150 decessi. «Quand’anche non fossero stati posti in essere da parte dei dirigenti della Fondazione i comportamenti lesivi della salute dei degenti e dei lavoratori, sui quali la magistratura sta indagando, risultano già acquisiti sufficienti elementi probatori per affermare che sotto il diverso profilo civilistico sussiste responsabilità della Rsa e, quindi, della Fondazione, che avrebbe dovuto adottare un sistema di gestione del rischio clinico», dice l’avvocato. L’iniziativa è parallela a quella penale. L’azione per la responsabilità «potrà eventualmente coinvolgere la compagnia assicurativa». Netta la replica del Don Gnocchi: «La Fondazione sin dall’inizio dell’emergenza ha messo in atto le procedure e adottato le misure cautelative definite dalle autorità. Il reparto Covid-19 allestito su richiesta della Regione Lombardia agli inizi di marzo era ubicato come prescritto in una palazzina separata dal resto dei degenti con accessi e personale dedicati».
La mia presenza qui rappresenta un riconoscimento per il lavoro dei sanitari Seguiamo con la massima attenzione l’evolversi dell’epidemia Renato Saccone Prefetto di Milano