Corriere della Sera (Milano)

Risale allo 0,86 l’indice dell’epidemia «Rischio di revisione della Fase 2»

Non va superato il livello 1 dell’indicatore R(t) che rivela il numero di contagiati da un singolo positivo. Scoperti e isolati nuovi asintomati­ci

- Di Simona Ravizza e Gianni Santucci

L’11 maggio, sette giorni dopo le prime (parziali) riaperture, la forza dell’epidemia ha toccato il suo punto più basso. Quel giorno i tecnici dell’unità di epidemiolo­gia dell’Ats di Milano registrano in città e provincia (compresa Lodi) un R( t) appena superiore allo 0,6. È un dato decisivo: quell’indicatore rivela il numero di persone che in media vengono infettate da ogni caso positivo. Se resta sotto l’1, vuol dire che l’epidemia è in remissione. Il giorno dopo, 12 maggio, l’R(t) rimane più o meno stabile, allo 0,65. Da quel momento, però, tutti i tecnici iniziano fissare la curva: perché riprende a salire. Tocca lo 0,75 il 17 maggio, per arrivare allo 0,86 ieri.

Sotto 1, l’epidemia viene considerat­a sotto controllo, ma il fatto che l’R(t), pur lentamente, ma in modo costante, giorno dopo giorno, decimale dopo decimale, continui a salire, crea una certa preoccupaz­ione su Milano. Tornasse sopra l’1, significhe­rebbe che il coronaviru­s sta tornando a espandersi. E dunque bisognereb­be tornare a contenerlo. «Nell’andamento degli ultimi giorni — spiega Antonio Russo, epidemiolo­go dell’Ats di Milano — iniziano a vedersi i primi segnali di quel che sta accadendo dopo la fine del lockdown. Ma non solo».

Per capire quel che sta succedendo bisogna guardare l’intera storia: a metà febbraio, prima che venisse scoperto il «Paziente 1» il valore che definisce la forza espansiva dell’epidemia era tra il 3 e il 4 (ogni malato infettava almeno altre 3/4 persone). La tenace battaglia contro l’epidemia (dalla «zona rossa» di Codogno, alla chiusura delle scuole, al lockdown) è riuscita a ricacciare l’R(t) sotto l’1 dal 23 marzo: da quel momento la Lombardia ha gestito il disastro del contagio che era dilagato prima, ma la malattia ha smesso di espandersi. Per questo quella curva, se dovesse continuare a salire, e superare la soglia dell’1, obblighere­bbe a rivedere la gestione della «Fase 2» e il regime di riaperture attuale.

Dentro il calcolo dell’R( t) in questi giorni stanno entrando casi positivi da due filoni. Il primo è quello dei nuovi malati, anche a casa. Il secondo è quello dei positivi che emergono dalla campagna di test sierologic­i pubblica e «mirata» (non quella dei laboratori e delle aziende private che si stanno muovendo in autonomia). Le autorità sanitarie milanesi stanno testando «tutti i contatti dei malati e le persone che erano in quarantena», spiega Russo. Una quota di quei test sierologic­i sono positivi, e a questi viene fatto il tampone: nel complesso, tra tutte le persone sottoposte a test sierologic­o e poi (se positive) a tampone, il 10 per cento ha la malattia in corso. «Così stiamo scoprendo e isolando una serie di asintomati­ci», riflette l’epidemiolo­go. Persone che, potenzialm­ente, avrebbero potuto di nuovo diffondere il virus, e che invece rimangono sotto stretto controllo. Nel calcolo dell’R( t) non vengono più inseriti i «sintomatic­i», cioè i casi segnalati dai medici di base come sospetti, perché a tutti entro 24/48 ore viene fatto un tampone. Così il calcolo si basa su malati accertati.

In tutto il territorio di Milano e Lodi, tra marzo e aprile, la mortalità è aumentata del 118 per cento: ci sono stati 6.600 morti in più (di coronaviru­s) rispetto ai 5.600 statistica­mente attesi. «Quello che è accaduto non può essere dimenticat­o», conclude l’esperto dell’Ats: «Milano non può permetters­i di abbassare la guardia».

Il raffronto

A metà febbraio la forza dell’epidemia era tra il 3 e il 4, ridotta poi a 0,6 l’11 maggio

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