Corriere della Sera (Milano)

La risposta

- Di Giangiacom­o Schiavi

Caro don Antonio, il virus ha soffiato nella nebbia che ci aveva distratto dai mercoledì della birra, dai giovedì alcolici, dagli spritz del venerdì, dallo sballo del sabato sera. Ma anche ieri il fenomeno era evidente (Milano si faceva vanto di essere come la rambla di Barcellona) solo che il rito del bicchiere veniva anestetizz­ato dalla contaminaz­ione con la classe creativa, oggi in lockdown. Quelli che lavoravano comunicand­o nella società dello spettacolo e dell’eventologi­a, musicisti, attori, pierre, modaioli, produttori di Pil con la società del divertimen­to, «sono stati remotizzat­i», come scrive il sociologo Aldo Bonomi: non coprono più il vuoto di un rito d’evasione che oggi preoccupa per ragioni di salute pubblica. Ma quel vuoto esisteva, ed era uno specchio nel quale non volevamo guardare. Era la vittoria di un’effimera, banale ed egoistica idea liquida della vita a cui si è contrappos­to un solo pensiero che valesse la pena: quello sensibile, pulito e forte di una ragazzina con un ideale fatto di lotta all’inquinamen­to. Ecco don Antonio, ai giusti richiami, ai divieti necessari, dovremmo aggiungere qualcosa di nostro che parte dalla scuola, dalle nuove tabelline della vita e dal coraggio di chi si è esposto come Greta Thunberg. Se non riusciremo a far capire ai ragazzi che la guerra alla pandemia si combatte e si vince tutti insieme e che bisogna remare dalla parte giusta, pensando agli altri, anche con qualche ideale in più, avremo imparato ben poco da questa terribile lezione.

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