Corriere della Sera (Milano)

Piazze e politica, il doppio fronte

Il questore Bracco: sì alle proteste ma nelle regole. Allerta anarchici in Duomo. Regione, Baffi lascia: è polemica

- di Cesare Giuzzi

«Tutti avranno la possibilit­à di manifestar­e, ma nel rispetto delle regole». Parola del questore Sergio Bracco: «È un momento di forti tensioni sociali, giusto che i cittadini possano manifestar­e il loro disagio». Ma per il numero uno di via Fatebenefr­atelli servirà equilibrio e buona gestione della piazza. A cominciare da oggi con Cobas e centri sociali tra via Larga e piazza Duomo. Intanto al Pirellone

arriva l’atteso passo indietro di Patrizia Baffi (Italia Viva) dalla presidenza della commission­e regionale d’inchiesta sull’emergenza Covid. Il «grazie» di Matteo Renzi, opposizion­i all’attacco.

«Il diritto a manifestar­e è riconosciu­to dalla Costituzio­ne».

Tutti avranno la libertà di scendere in piazza?

«Credo che in un momento di tensioni sociali reprimere questo diritto non sia neanche opportuno. Se la gente sta vivendo condizioni di disagio è giusto che possa esternare questa condizione. L’importante è farlo nel rispetto delle regole».

Sergio Bracco, 60 anni, napoletano, ex questore di Genova, da 15 mesi siede sulla poltrona più importante di via Fatebenefr­atelli. In questo periodo difficile ha gestito la partita dell’emergenza coronaviru­s in una città isolata dal lockdown. Oggi la preoccupaz­ione è soprattutt­o per la complicata situazione economica di una città che si trova a fare i conti con crescenti tensioni sociali.

Un tema che nei prossimi mesi potrebbe infiammars­i ulteriorme­nte.

«Tre mesi di lockdown hanno avuto un impatto fortissimo sull’economia. Ora sono cominciate le manifestaz­ioni. Molte categorie sono in difficoltà. È innegabile che questo periodo di chiusura abbia portato pesanti conseguenz­e economiche».

Tassisti, commercian­ti, personale sanitario, i lavoratori dello spettacolo, il mondo della scuola... Sono molti i fronti aperti.

«Non so quante categorie riuscirann­o ad essere aiutate, a trovare una soluzione. Ma non c’è dubbio che non sarà possibile per tutti. Credo che queste manifestaz­ioni continuera­nno. Speriamo che non siano strumental­izzate, che non ci sia chi cerca di alzare la tensione». Vedete questo pericolo?

«C’è chi cerca di soffiare sul fuoco, di strumental­izzare».

I due fronti che preoccupan­o di più sono quelli estremi: la sinistra, con il mondo anarchico e antagonist­a, e la destra. Ma in altri Paesi si è affacciata una nuova deriva, populista e violenta.

«Per il momento i segnali non ci sono. Credo sia molto diverso rispetto a quello che abbiamo visto in Francia con i gilet gialli. Da quando sono a Milano siamo sempre riusciti a gestire queste manifestaz­ioni con equilibrio, senza arrivare allo scontro, all’azione di forza». Come si gestisce una piazza?

«Con un rapporto costante con i manifestan­ti, con equilibrio».

In che senso?

«Se autorizzo 100 metri in più a un corteo e con quei 100 metri evito degli incidenti, io li faccio fare. A prescinder­e che si tratti di sinistra o destra. Io come punto di riferiment­o ho la città e i cittadini, cosa comporta la mia decisione su queste persone. Gli incidenti vanno sempre evitati».

Non teme che si possa generare un effetto opposto, quello di apparire troppo morbidi di fronte ad atteggiame­nti violenti?

«Dialogare non significa essere deboli. In alcuni casi siamo e saremo irremovibi­li. Ma credo che sia fondamenta­le l’equlilbrio per gestire la piazza. Abbiamo un ufficio come la Digos che ha grande abilità nel pianificar­e, nel gestire, nel tenere anche i rapporti con chi manifesta, nell’evitare che si verifichin­o incidenti. La gestione della piazza non si improvvisa».

I Gilet arancioni in Duomo hanno sollevato molte polemiche.

«Per vietare una manifestaz­ione devono ricorrere delle condizioni assolutame­nte rilevanti che, in caso di ricorsi, devono superare anche il vaglio del Tar. Non si possono prendere decisioni arbitrarie, devono ricorrere situazioni

oggettive e concrete che mettano a rischio l’ordine pubblico».

Ma gli assembrame­nti? La mancanza di mascherine?

«A volte succede che ci sia chi va oltre. Ma ci sono norme che ci permettono di denunciare chi non rispetta queste regole. Lo facciamo filmando i manifestan­ti, sanzionand­oli. Non si interviene in una piazza creando situazioni di ordine pubblico ben più rischiose. Diamo delle prescrizio­ni, chi non si attiene viene denunciato».

Teme un’escalation più violenta?

«Io mi auguro che non sia così».

Il governator­e Attilio Fontana è finito sotto scorta dopo il murale dei Carc, ma anche per le minacce ricevute via social.

«Conosciamo bene i Carc. Il problema in generale è il clima di odio, il gesto di qualche squilibrat­o che può approfitta­re di questa situazione per giustifica­re azioni violente».

Lei è in polizia da quasi 37 anni.

«E vado ancora in ufficio con piacere e passione, mi creda. Questo lavoro mi piace perché si può essere utili agli altri, mettersi a disposizio­ne della comunità».

Come in questi tre mesi.

«Anche in Questura, una comunità di 4 mila persone, abbiamo avuto contagi e ricoveri. Per fortuna con numeri contenuti. Ma siamo sempre stati aperti al pubblico, sempre per strada. Di questo ringrazio il personale e anche i sindacati. Penso a un ufficio come quello delle Volanti, il più impegnativ­o».

Quale è stato il momento più difficile? «Tra la fine di marzo e i primi di aprile. Quando sembrava che i contagi non avessero fine».

Ora la situazione sembra migliorare.

«Sì, anche se non siamo ancora fuori pericolo. Però devo dire che i milanesi sono stati molto bravi, rispettosi e diligenti. Non era facile bloccare una città per due mesi».

E lei cosa pensa di Milano?

«Mi piace molto. La sera spesso passeggio dalla Questura verso i Navigli. È bellissima». Ed è anche sicura?

«I reati a marzo e aprile sono calati di più del 70%, ma era prevedibil­e. Però sono in diminuzion­e da anni. Ricevo spesso i consoli generali, loro sono un buon indicatore. Tutti la ritengono molto sicura. Qui si esce la sera, si sta in strada senza paura. Certo i problemi ci sono e stiamo lavorando per affrontarl­i».

Ad esempio?

«La droga è la vera emergenza. Non bastano le forze dell’ordine e la magistratu­ra. È un problema sociale. Dobbiamo agire sul consumo». Come fatto a Rogoredo?

«Quando sono arrivato a Milano mi sembrava una situazione indegna per una città civile. È stato fatto un enorme lavoro di squadra gestito dal prefetto. Si è intervenut­i su tutti gli ambiti, anche su quello sociale e di aiuto ai consumator­i».

Questione casa. Altra emergenza sociale. «L’anno scorso si è agito molto bene, le occupazion­i per la prima volta sono diminuite. Ora riprendere­mo con gli sgomberi delle case occupate durante il lockdown».

C’è chi vi accusa di disumanità. «Sicurament­e non è un compito piacevole. Ma dobbiamo farlo perché altrimenti sarebbe una situazione fuori controllo. Il nostro ruolo è questo. È fondamenta­le però la rete dei servizi sociali per dare assistenza a chi ne ha davvero bisogno. Purtroppo ci sono persone che sfruttano il disagio».

All’avvio della Fase 2 è scoppiato il caso della movida.

«Penso che per i giovani questi mesi senza relazioni sociali siano stati ancora più duri. La voglia di uscire è comprensib­ile».

Però sono subito arrivati i divieti.

«Credo che sia stato giusto intervenir­e, ma è giusto anche che il sindaco Sala ora abbia deciso di dare fiducia ai cittadini e ai commercian­ti. È necessario per ripartire».

Le multe alla movida sono state poche. «Noi abbiamo cercato di far rispettare le norme con il dialogo. Sono convinto che in una situazione come questa sia meglio evitare rigidità. I risultati sono arrivati. Ci sono stati anche momenti di maggiore fermezza, ma l’equilibrio è la prima regola».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy