Furti in corsia: la dirigente e l’imprenditore sciacalli Covid
Ospedale di Saronno, arrestata dirigente della farmacia e un imprenditore. Sottratti presidi per la respirazione «Spiace per i pazienti, però...» I magistrati: avidi e cinici
Gonfiavano gli ordini ospedalieri di materiale per intubare i pazienti Covid, facevano sparire i prodotti e poi li rivendevano. È l’accusa a carico della dirigente dell’area logistica della farmacia ospedaliera di Saronno (Varese) e dell’amministratore della Aritec srl, azienda specializzata in dispositivi medicali. Ieri sono stati arrestati. Lo scambio di materiale è stato anche ripreso dalle telecamere nascoste dai carabinieri.
C’è l’intenzione di colpire chi vuole lucrare a scapito della collettività dietro la decisione del gip di Busto Arsizio che ha portato all’arresto di S.V. 59 anni dirigente dell’area logistica della farmacia ospedaliera di Saronno e di A. A., quarantanovenne amministratore della Aritec srl, azienda specializzata in dispositivi medicali, sembra uniti da un affettuoso legame. Sono accusati entrambi di essersi accordati per gonfiare gli ordini che l’ospedale di Saronno faceva per acquistare materiale sanitario utile per intubare i pazienti per poi farlo sparire e reimmetterlo sul mercato: peculato in concorso per entrambi e per il solo imprenditore anche autoriciclaggio. Ma quello che fa descrivere ai magistrati come «avidi e dotati di sconcertante cinismo» i due finiti in carcere è pure la totale noncuranza del momento attraversato dagli ospedali, nel mezzo della pandemia. Così ieri mattina i militari del reparto operativo di Varese hanno fatto scattare le manette.
Le indagini sono partite nel novembre scorso dopo che il responsabile della farmacia ospedaliera di Saronno e del suo superiore che sovrintende le forniture in tutta la Asst Valle Olona (composta dagli ospedali di Busto Arsizio, Saronno, Gallarate e Somma Lombardo) si sono accorti che qualcosa negli ordinativi di lame e batterie per laringoscopi non quadrava. E poi quella dirigente che chiedeva spesso di far recapitare i colli contenenti le apparecchiature direttamente nel suo ufficio. Perché? Lo hanno scoperto i carabinieri dopo aver attivato le indagini con microcamere ambientali e intercettazioni telefoniche scoprendo il «doppio lavoro» dei due che si sentivano più volte al giorno per pianificare gli ordini da inoltrare ai fornitori dell’ospedale e sulle modalità da seguire per trafugare gli strumenti fondamentali durante le crisi respiratorie dei pazienti. Non si parla di cifre milionarie: dai capi d’imputazione il valore commerciale della merce sottratta ammonta a poco più di 7 mila euro, tanto quanto basta per arrotondare, per concedersi «una borsa di Prada»: è quanto i carabinieri hanno ascoltato in un’intercettazione in cui la donna ha raccontato di aver negato alcune batterie richieste dalla farmacia dell’ospedale di Busto Arsizio per consegnarle al complice, suggerendogli qualora fosse stato contattato dalla farmacia di quell’ospedale di gonfiare il prezzo col duplice vantaggio di mettere in difficoltà una ditta concorrente e col ricavato farsi «una bella mangiata, un bel regalo». «Mi spiace per i pazienti, però…».
Secondo le accuse, le apparecchiature «sparivano» nella borsa della donna o in cartoni resi anonimi portati fuori dall’ospedale per finire direttamente nella Audi Q5 dell’imprenditore, che poi rivendeva il tutto ad altre ignare strutture ospedaliere come l’Asst santi Paolo e Carlo e l’Istituto clinico Sant’Ambrogio. Alle indagini ha partecipato anche la Guardia di Finanza che con rilievi tecnici e contabili ha potuto appurare le giacenze di magazzino della Aritec che non collimavano con quanto fatturato dall’azienda.