«Radici», diario a più voci per raccontare via Padova dagli anni Ottanta fino a oggi
«Con le foto rievoco le radici e i ricordi dei miei ex compagni di classe»
Come l’acqua di un fiume o, in questo caso, di un Naviglio, quello della Martesana, che con lo scorrere del tempo cambia di continuo, ma nonostante ciò mantiene la sua identità, anche un via può trasformarsi nei decenni ma restare sé stessa. A Milano, per esempio, accade a via Padova, che ha visto avvicendarsi abitanti, provenienze, colori della pelle e ha vissuto importanti metamorfosi sociali, ma non ha mai perduto la sua anima profonda, così come il suo abito, la riconoscibilità dei luoghi, delle case, delle piazzette, dei muri, degli anfratti. Anche guardandosi allo specchio.
Nel libro di Giorgia Sampaoli «Radici. I ragazzi di via Padova», prodotto da edizioni Ligera, la strada, oggi la più multietnica della città, riflette la propria immagine di qualche decennio fa nella memoria di alcune donne e uomini tra i 40 e i 50 anni (undici persone compresa l’autrice) che negli anni Ottanta erano bambini o adolescenti. Una fotografia ciascuno, la proustiana madeleine, e il breve racconto di un ricordo. Questa la formula che ha usato Sampaoli, 46 anni, per distillare una collezione di scorci d’ambiente e psicologici, affiorati alla coscienza di suoi compagni di classe delle elementari e delle medie. «Sono cresciuta in fondo a via Padova, a Crescenzago, poi ho vissuto per molto tempo in Emilia. Quando sono tornata ho sentito il bisogno di reincontrare le mie ragno. dici, appunto, anche attraversi i racconti di chi qui è stato bambino o bambina, come me. Ho scattato le foto, poi tramite facebook ho organizzato dei ritrovi con i compagni e così, davanti a una pizza e ai ricordi, è nato questo libro». Le sue amiche e i suoi amici oggi sono «grandi» e hanno preso strade diverse. «È un nucleo di persone variopinto — spiega Sampaoli, che lavora in banca —, c’è chi fa l’assicuratore, il panettiere, il custode, la casalinga, la psicoterapeuta».
Ed è proprio anche un lavoro di ricerca in sé stessi, quello di «Radici»: ognuno ha scelto una foto evocativa, poi è tornato indietro nel tempo, e alcuni luoghi sono diventati topoi psicologici: il corso d’acqua, il ponte, la panchina, il muretto, il bivio, l’autobus 56 («La 56 era il traghetto per uscire dal quartiere», dice Aldo). Nelle narrazioni emergono anche suggestioni e oggetti di altri tempi. Ricorda Marco: «I ragazzi andavano sull’argine della Martesana (...). Potevi ritrovare ben nascoste diverse cassette di leOgnuno aveva la sua e ci nascondeva oggetti cari. Io avevo costruito uno yo-yo di legno a forma di rombo».
«In questo viaggio nel tempo e lungo la via — racconta l’autrice — ho ritrovato la mia zona di quando ero piccola: non ci sono stati cambiamenti radicali, urbanistici o architettonici, e anche dal punto di vista sociale non si è smarrita l’identità. Prima c’era tanta gente del Sud Italia, ora ci sono molti stranieri, ma l’atmosfera è sempre la stessa». Come Dorian Gray, via Padova non invecchia, mentre il passare del tempo lascia traccia nel suo ritratto.
Identità
«La zona è cambiata nel tempo ma i palazzi e l’atmosfera sono rimasti gli stessi»