Non mi affeziono al passato
Il Novecento e oltre di Anna Maria Montaldo
Se sei nato a Cagliari e da Milano ti dividono il mare, il sole e il cielo spazzato dal vento, ci vuole davvero coraggio per decidere di concorrere per un posto dirigenziale nella città della nebbia. Nel 2017 Anna Maria Montaldo ha buttato il cuore oltre la sua isola ed è diventata direttrice del Polo arte moderna e contemporanea che comprende il museo del Novecento, la Galleria d’arte moderna e il Mudec.
Ma come le è venuto in mente?
«Mi sarei spostata solo per Milano che ho sempre amato moltissimo. Qui c’è rispetto per il lavoro e le competenze. Inoltre sono cresciuta dentro i musei civici e ho una grande conoscenza di queste realtà. Infine, a Cagliari avevo diretto il progetto per la candidatura a capitale della cultura europea 2019: siamo arrivati in finale con Matera e prima siamo diventati capitale italiana 2015: insomma venivo da una grande energia di apertura internazionale e a quel punto mi interessava Milano».
Com’è stato l’impatto con la città?
«Subito bellissimo sia con la città che con il lavoro. All’inizio Milano mi sembrava strana perché a Cagliari ti trovi sempre di fronte a una visione espansa: del mare o delle montagne. Milano invece ha una veduta più domestica. Esci di casa ed entri subito in un altro luogo di fronte, in pianura: nel museo del Novecento la piazza entra dentro l’edificio».
Ora il museo ha un grande spazio per le mostre. È stata un’acquisizione utile? «Secondo me ha aggiunto tanto, anche se un museo non deve vivere di mostre. La sua ossatura deve restare la collezione permanente, l’attività educativa e di ricerca. L’importante è che le mostre siano figlie degli interessi del museo, non attività atterrate dal nulla».
Pensa che il piano terra sia il posto giusto per il «Quarto stato» di Pellizza da Volpedo?
«È un’opera simbolica per Milano perché fu acquistata cento anni fa con una sottoscrizione pubblica ed è anche un’icona moderna per il cinema e la pubblicità. Per questo la vedo come incipit del museo del Novecento dove tutti possono entrare a vederla senza pagare il biglietto. Certo avrebbe bisogno di un percorso da cui il pubblico potrebbe andargli visivamente incontro. La sposterei solo se trovassi uno spazio più ampio».
A dicembre saranno dieci anni dall’inaugurazione del museo del Novecento. Cosa state preparando?
«Durante la quarantena abbiamo lavorato per la campagna di comunicazione e fatto tanti progetti, ma purtroppo non possiamo più contare sul budget iniziale. Avremo però finito il riallestimento dell’intero quarto piano, del terzo e del quinto. Un museo ha la capacità di compiere un racconto molto sfaccettato — artistico, storico, sociale, di costume
— e ha il dovere di rinnovarlo perché a seconda della trama e dei dialoghi che poni in essere cambiano anche i punti di vista».
Il suo mandato scadrà tra un anno: si ricandiderà?
«Mi piacerebbe sicuramente continuare. Vedremo».
Qual è il segno che vorrebbe lasciare?
«Soprattutto spero di aver dato un metodo: bisogna sempre leggere le necessità di cambiamento senza affezionarsi in maniera acritica a vecchie posizioni e modus operandi. La pandemia ce l’ha insegnato in maniera feroce».
Fontana, Sironi o Piero Manzoni?
«Manzoni perché a chi cerca dei canoni estetici o delle forme visive sublimi, ha insegnato che devi avere la capacità di scardinare la tua percezione e il tuo modo di vedere le cose».
Lezioni d’autore
Piero Manzoni ci ha insegnato la capacità di scardinare la percezione e il modo di vedere le cose