Lodi, l’anestesista «coach» da remoto
Chiamate alle famiglie dei malati, pc per gestire i turni «A Lodi giorni drammatici: dovevo aiutare i colleghi»
Ci sono medici che hanno passato le giornate a salvare vite dei pazienti affetti da Covid-19 e altri che hanno trascorso pomeriggi interi a informare le famiglie dei malati. Tra i medici-eroi meno convenzionali c’è Leonardo Castellazzi, rianimatore nell’ospedale di Lodi. Uno a cui la malattia non ha fatto sconti — ricoverato il giorno dopo Mattia Maestri, il «paziente 1» che ha fatto emergere l’esistenza del focolaio di Codogno, ha impiegato due mesi a guarire — e che ha trovato il modo di aiutare i colleghi nelle settimane più drammatiche da casa, con un portatile e un telefono. Studiava le cartelle cliniche e chiamava le famiglie dei malati intubati a Lodi per dare loro notizie. «Nulla succede per caso — dice —, forse durante l’epidemia il mio compito doveva essere questo». Castellazzi, a Lodi dal 2000 e collaboratore stretto del primario di Terapia intensiva Enrico Storti, il 20 febbraio non ha avuto nemmeno il tempo di reagire alla notizia del primo caso: «Mi sono ammalato e mi hanno portato al Sacco». Tempo dieci giorni e lo rimandano a casa, isolato da moglie e figli. «Parlando con i colleghi di reparto, sapevo cosa succedeva. Mi “rodeva” non poter essere lì con loro». Castellazzi ha ottenuto una postazione di smart working dalla quale poteva accedere alle cartelle cliniche. «Ho iniziando riorganizzando i turni e assegnando riposi: c’era chi non dormiva da giorni». A inizio marzo il reparto, pur portato a 25 letti, esplodeva. «Ho pensato che avrei potuto sgravare i colleghi occupandomi delle telefonate ai parenti. Un compito delicato, specie in un’epidemia che azzera tutti i contatti tradizionali». Per un mese e mezzo, ogni pomeriggio dalle 14 alle 19 Castellazzi chiamava le famiglie. Raccontando condizioni, terapie, miglioramenti, peggioramenti. «Con loro si è instaurato un rapporto di fiducia. Ho provato ad ascoltarli e capire la loro situazione. Ho imparato ad esempio a mantenere sempre lo stesso ordine di chiamate, per evitare che qualcuno si spaventasse nel ricevere una telefonata a un orario diverso da quello a cui era abituato». Alcuni sono guariti, altri no. «Non sono mai state chiamate facili: c’era chi mi chiedeva di mandare una carezza, altri mi affidavano messaggi vocali da girare in reparto per farli ascoltare al loro congiunto». Castellazzi è tornato in terapia intensiva a fine aprile, dopo due mesi e 12 tamponi. «Un rientro complicato, ma ora si respira». Da una settimana a Lodi in terapia intensiva non ci sono più pazienti Covid.
Telefonate Ho contattato ogni giorno i parenti, si è instaurato un prezioso rapporto di fiducia