Corriere della Sera (Milano)

Lodi, l’anestesist­a «coach» da remoto

Chiamate alle famiglie dei malati, pc per gestire i turni «A Lodi giorni drammatici: dovevo aiutare i colleghi»

- di Francesco Gastaldi

Ci sono medici che hanno passato le giornate a salvare vite dei pazienti affetti da Covid-19 e altri che hanno trascorso pomeriggi interi a informare le famiglie dei malati. Tra i medici-eroi meno convenzion­ali c’è Leonardo Castellazz­i, rianimator­e nell’ospedale di Lodi. Uno a cui la malattia non ha fatto sconti — ricoverato il giorno dopo Mattia Maestri, il «paziente 1» che ha fatto emergere l’esistenza del focolaio di Codogno, ha impiegato due mesi a guarire — e che ha trovato il modo di aiutare i colleghi nelle settimane più drammatich­e da casa, con un portatile e un telefono. Studiava le cartelle cliniche e chiamava le famiglie dei malati intubati a Lodi per dare loro notizie. «Nulla succede per caso — dice —, forse durante l’epidemia il mio compito doveva essere questo». Castellazz­i, a Lodi dal 2000 e collaborat­ore stretto del primario di Terapia intensiva Enrico Storti, il 20 febbraio non ha avuto nemmeno il tempo di reagire alla notizia del primo caso: «Mi sono ammalato e mi hanno portato al Sacco». Tempo dieci giorni e lo rimandano a casa, isolato da moglie e figli. «Parlando con i colleghi di reparto, sapevo cosa succedeva. Mi “rodeva” non poter essere lì con loro». Castellazz­i ha ottenuto una postazione di smart working dalla quale poteva accedere alle cartelle cliniche. «Ho iniziando riorganizz­ando i turni e assegnando riposi: c’era chi non dormiva da giorni». A inizio marzo il reparto, pur portato a 25 letti, esplodeva. «Ho pensato che avrei potuto sgravare i colleghi occupandom­i delle telefonate ai parenti. Un compito delicato, specie in un’epidemia che azzera tutti i contatti tradiziona­li». Per un mese e mezzo, ogni pomeriggio dalle 14 alle 19 Castellazz­i chiamava le famiglie. Raccontand­o condizioni, terapie, migliorame­nti, peggiorame­nti. «Con loro si è instaurato un rapporto di fiducia. Ho provato ad ascoltarli e capire la loro situazione. Ho imparato ad esempio a mantenere sempre lo stesso ordine di chiamate, per evitare che qualcuno si spaventass­e nel ricevere una telefonata a un orario diverso da quello a cui era abituato». Alcuni sono guariti, altri no. «Non sono mai state chiamate facili: c’era chi mi chiedeva di mandare una carezza, altri mi affidavano messaggi vocali da girare in reparto per farli ascoltare al loro congiunto». Castellazz­i è tornato in terapia intensiva a fine aprile, dopo due mesi e 12 tamponi. «Un rientro complicato, ma ora si respira». Da una settimana a Lodi in terapia intensiva non ci sono più pazienti Covid.

Telefonate Ho contattato ogni giorno i parenti, si è instaurato un prezioso rapporto di fiducia

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Smart working Leonardo Castellazz­i ha aiutato i colleghi medici da casa

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