Corriere della Sera (Milano)

Gli incensurat­i riconverti­ti allo spaccio

Presa barista insospetta­bile: vendeva coca. «Fenomeno in crescita, colpa della crisi»

- di Andrea Galli

Non un arresto isolato ma una testimonia­nza del momento: la polizia ha fermato una barista incensurat­a che aveva avviato una seconda attività di guadagno, lo spaccio di droga. I rifornimen­ti dai balordi del quartiere popolare di Calvairate-Molise.

Un’operazione che ne anticiperà delle altre in un futuro non lontano, perché gli investigat­ori del commissari­ato Monforte hanno mappato quella che già è una tendenza. Non una novità assoluta, attenzione, eppure una situazione senza dubbio legata alla in manette, lui denunciato). Plausibile ipotizzare che lo stupefacen­te fosse una specie di occupazion­e, secondaria (o magari primaria), probabilme­nte in concomitan­za con le difficoltà economiche da ricondurre al lock-down. Il locale chiuso, le rate del mutuo da pagare lo stesso così come le bollette, i fornitori che battevano cassa, il personale, gli investimen­ti per mettere in sicurezza gli spazi, e via elencando... Un altro chilo di droga è stato rinvenuto nell’appartamen­to della signora.

I mali del quartiere

La presenza di Calvairate-Molise in questa operazione non è casuale. La stessa pandemia ha bloccato o quantomeno fortemente limitato le importazio­ni e la movimentaz­ione di stupefacen­ti ai livelli medio-piccoli (la ’ndrangheta, per dire, è ugualmente riuscita a garantire il servizio, sfruttando in tempi in cui non si poteva circolare la copertura dei camion della frutta e della verdura); motivo per il quale ci si è dovuti affidare ai fornitori locali e ai loro depositi. Da febbraio a oggi, il quartiere popolare, uno di quelli più flagellati anche dal ritorno delle occupazion­i abusive, ha vissuto un fermento delle attività dei balordi, loro pure sigillati negli appartamen­ti e che lì, e nelle cantine, hanno organizzat­o incontri d’affari e venduto la droga direttamen­te al dettaglio. Un intrico di contatti, accordi, cessioni di stupefacen­te che si è sviluppato e si sviluppa fino alla zona di Mecenate, e che si basa su storiche famiglie da generazion­i attive nella delinquenz­a (nei suoi svariati rami). Chi ha saputo interpreta­re le «opportunit­à» del virus si è da subito concentrat­o proprio sullo spaccio. Del resto, come già spiegato in Questura a seguito di una precedenza indagine della Mobile (quintali di marijuana in un’azienda che aveva il permesso di coltivare cannabis-light), gli operatori in possesso di un pacchettoc­lienti non possono permetters­i di perdere gli acquirenti. La droga in un modo o nell’altro dev’essere recuperata.

I flussi

Un concetto ben chiaro alle cosche, come anticipato. Eravamo a fine marzo. A Gioia Tauro la polizia aveva sequestrat­o 537 panetti da un chilo di cocaina: la droga, divisa in due parti e distribuit­a all’interno di un capannone e sotterrata in un agrumeto, era riconducib­ile all’unico proprietar­io sia della struttura sia del terreno, il 25enne Rocco Molè, figlio di quel «Mommo» all’ergastolo a Opera. La

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