Gli incensurati riconvertiti allo spaccio
Presa barista insospettabile: vendeva coca. «Fenomeno in crescita, colpa della crisi»
Non un arresto isolato ma una testimonianza del momento: la polizia ha fermato una barista incensurata che aveva avviato una seconda attività di guadagno, lo spaccio di droga. I rifornimenti dai balordi del quartiere popolare di Calvairate-Molise.
Un’operazione che ne anticiperà delle altre in un futuro non lontano, perché gli investigatori del commissariato Monforte hanno mappato quella che già è una tendenza. Non una novità assoluta, attenzione, eppure una situazione senza dubbio legata alla in manette, lui denunciato). Plausibile ipotizzare che lo stupefacente fosse una specie di occupazione, secondaria (o magari primaria), probabilmente in concomitanza con le difficoltà economiche da ricondurre al lock-down. Il locale chiuso, le rate del mutuo da pagare lo stesso così come le bollette, i fornitori che battevano cassa, il personale, gli investimenti per mettere in sicurezza gli spazi, e via elencando... Un altro chilo di droga è stato rinvenuto nell’appartamento della signora.
I mali del quartiere
La presenza di Calvairate-Molise in questa operazione non è casuale. La stessa pandemia ha bloccato o quantomeno fortemente limitato le importazioni e la movimentazione di stupefacenti ai livelli medio-piccoli (la ’ndrangheta, per dire, è ugualmente riuscita a garantire il servizio, sfruttando in tempi in cui non si poteva circolare la copertura dei camion della frutta e della verdura); motivo per il quale ci si è dovuti affidare ai fornitori locali e ai loro depositi. Da febbraio a oggi, il quartiere popolare, uno di quelli più flagellati anche dal ritorno delle occupazioni abusive, ha vissuto un fermento delle attività dei balordi, loro pure sigillati negli appartamenti e che lì, e nelle cantine, hanno organizzato incontri d’affari e venduto la droga direttamente al dettaglio. Un intrico di contatti, accordi, cessioni di stupefacente che si è sviluppato e si sviluppa fino alla zona di Mecenate, e che si basa su storiche famiglie da generazioni attive nella delinquenza (nei suoi svariati rami). Chi ha saputo interpretare le «opportunità» del virus si è da subito concentrato proprio sullo spaccio. Del resto, come già spiegato in Questura a seguito di una precedenza indagine della Mobile (quintali di marijuana in un’azienda che aveva il permesso di coltivare cannabis-light), gli operatori in possesso di un pacchettoclienti non possono permettersi di perdere gli acquirenti. La droga in un modo o nell’altro dev’essere recuperata.
I flussi
Un concetto ben chiaro alle cosche, come anticipato. Eravamo a fine marzo. A Gioia Tauro la polizia aveva sequestrato 537 panetti da un chilo di cocaina: la droga, divisa in due parti e distribuita all’interno di un capannone e sotterrata in un agrumeto, era riconducibile all’unico proprietario sia della struttura sia del terreno, il 25enne Rocco Molè, figlio di quel «Mommo» all’ergastolo a Opera. La