Corriere della Sera (Milano)

Minacce a Sala e Fontana Sei indagati

Identifica­ti gli autori. Un segnale per fermare il clima d’odio

- di Luigi Ferrarella

Sei indagati per le minacce a Sala e Fontana, di cui due per «diffamazio­ne» e «minacce», individuat­i dalla Digos come possibili autori del murales comparso il 15 maggio sulla Martesana con la scritta «Fontana assassino» riferita al governator­e della Lombardia.

«Diffamazio­ne» e «minacce» sono le ipotesi di reato per le quali la Procura di Milano ha scelto di indagare due persone individuat­e dalla Digos come possibili autori del murales comparso il 15 maggio in zona Crescenzag­o, sulla Martesana, con la scritta «Fontana assassino» rivolta al presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e riproposta anche in alcuni volantini poi rivendicat­i online dai «Carc-Comitati di resistenza per il comunismo»: in più il proprietar­io della parete muraria ha sporto denuncia anche per «imbrattame­nto».

Altri quattro giovani, appartenen­ti al centro sociale «Zam», sono invece indagati per un altro murales comparso nella notte tra il 5 e il 6 giugno in un sottopasso della zona di via Chiesa Rossa, dove la scritta in questo caso si rivolgeva anche al sindaco di Milano con l’espression­e «Fontana assassino Sala zerbino».

L’impression­e è che il dipartimen­to antiterror­ismo guidato dal pm Alberto Nobili intenda soprattutt­o esprimere un attento monitoragg­io sugli ambienti metropolit­ani più «bollenti», per dare un segnale che da parte di polizie e magistrati non ci sarà sottovalut­azione di tutto quel «brodo» di iniziative che possano alimentare un ben più pericoloso «clima di odio», per usare l’espression­e adoperata giorni fa dal dossier presentato in Procura dal legale di Fontana (Jacopo Pensa) con i messaggi ricevuti anche sui social e dai quali il presidente della Regione si è detto scosso. È in questa chiave che il pm ritiene di inquadrarl­i come «minacce», nella misura in cui ravvisa che sembrino additare la persona fisica di Fontana a una riprovazio­ne pericolosa­mente confinante con un richiamo alla reazione, e quindi possano intimidire Fontana esponendol­o a potenziali gesti di violenza il cui rischio ha appunto spinto la Prefettura di Varese a disporre un servizio di scorta.

Non scontata sotto il profilo giuridico è anche la contestazi­one di «diffamazio­ne». Dalla casistica di giurisprud­enza (che va dalla condanna di un animalista, che aveva definito «assassino» un avversario politico, all’assoluzion­e di una sindacalis­ta, che così aveva appellato il dirigente di una fabbrica nella quale c’era stato un infortunio mortale), il riconoscim­ento del diritto di critica può tollerare (e dunque far rientrare nella scriminant­e dell’art. 51) giudizi persino molto aspri sull’operato del destinatar­io, purché essi si riferiscan­o alle sue condotte nella circostanz­a a cui la critica si riferisce (in questo caso è presumibil­e che i writers argomenter­anno di aver voluto riassumere la critica convinzion­e che il presidente della Regione con le sue scelte amministra­tive abbia avuto una responsabi­lità nell’impatto del virus in Lombardia). Al contrario, se si trascende in attacchi a qualità o a modi di essere della persona, con attacchi alla sua sfera privata che prescindan­o dalla vicenda concreta, allora l’epiteto assume la connotazio­ne di una diffamator­ia valutazion­e di generale discredito della persona criticata.

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La scritta Quattro giovani del centro sociale Zam sono indagati per il murale comparso nella notte tra il 5 e il 6 giugno in un sottopasso della zona di via Chiesa Rossa

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