Ripulita la statua Ma le polemiche non si fermano
Sala: atto mussoliniano, è una delle intitolazioni più sbagliate. Ripulita la statua in via Palestro
Dopo lo sfregio alla statua di Montanelli da parte dei collettivi studenteschi, l’entrata di piazza Cavour è l’agorà dei milanesi, tra i «pro Indro» e i contro e una processione laica di politici di centrodestra che da domenica gli rendono omaggio.
La pioggia di critiche ricevute sui social non fa cambiare idea al sindaco Beppe Sala. «Ho ribadito la volontà di tenere la statua di Montanelli lì dov’è». Per due motivi: il primo è quello di individuare quali sono le priorità da affrontare nell’immediato. Più che l’urgenza di abbattere un monumento, il lavoro appare la vera priorità da affrontare. «Situazione drammatica» dice il sindaco che si è appena confrontato con la difficilissima situazione dei lavoratori dello spettacolo.
Il secondo motivo è che «aprire un dibattito» del genere sui monumenti buoni o cattivi apre la porta a un ripensamento generale. Sala, ad esempio, ritiene che «una delle intitolazioni più sbagliate» sia piazza le Luigi Cadorna, responsabile della disfatta di Caporetto. «L’avvessero intitolata al padre avrei capito. L’intitolazione a Luigi è perché Mussolini voleva essere compiacente verso una parte dei reduci». Conclusione: «O c’è un percorso per cui la città decide che è il momento di ripensare alla toponomastica, ai monumenti e io sono disponibile, o fare un singolo atto lascia il tempo che trova».
Parole al vento. Perché, sia il mondo social sia quello delle dichiarazioni spontanee sembra aver fatto di Montanelli sì o Montanelli no, la priorità nazionale. Mentre la Procura apre un fascicolo a carico di ignoti per l’imbrattamento della statua e gli uomini del Comune ripuliscono il monumento dalla vernice rossa, il collettivo LuMe che ha rivendicato il blitz mascherato insiste che la statua a Montanelli è un insulto alla città.
I Sentinelli si affidano al formalismo del linguaggio e ricordano di non aver mai chiesto la «demolizione» della statua ma eufemisticamente la «rimozione». E se proprio non si vuole rimuovere si affianchi al giornalista una scultura di Destà ela sua sposa minorenne con sotto la scritta «consorte». Più reattivi dei Sentinelli, il graffitaro Ozmo ha disegnato l’immagine di un «monumento in memoria della sposa bambina» sui muri di via Torino. Pierfrancesco Majorino, eurodeputato del Partito democratico ed ex assessore ai Servizi sociali suggerisce invece di creare un luogo «in memoria delle donne e degli uomini vittime del colonialismo italiano e vittime di quanti si macchiarono di soprusi perpetrati in particolare nei confronti dei popoli dominati e oppressi. Alla memoria delle bambine, delle ragazze, delle donne vittime preferite di quelle violenze».
Un profluvio di parole. Quelle che la Fondazione Montanelli Bassi non ha più. «Di fronte all’ignoranza, alle strumentalizzazioni ideologiche, all’ottusa stupidità, alla violenza degli imbrattatori e di chi li ispira non abbiamo più parole. Lasciamo voce a
Indro Montanelli». Si tratta di una trasmissione di Rai 3 del 1994 dove il giornalista dialoga con Beniamino Placido. La puntata si conclude con una lettera ideale di Montanelli a un ragazzo nella quale il giornalista racconta la sua esperienza africana. «Caro... Eccoti in sintesi la mia storia, la storia di una illusione e di una delusione, che furono un po’ quelle di quasi tutta la mia generazione. La vicenda coniugale della sposa abissina rientra nell’illusione. Io volevo diventare un abissino, e lo feci adeguandomi ai costumi matrimoniali locali. Cioè comprai (500 talleri) la mia Destà (così si chiamava) dal padre, cui partendo la restituii con un po’ di dote (tutti i miei risparmi) che le consentirono di trovare subito un altro marito nella persona di un mio graduato (bulukbashi) di nome Gheremedin, che al suo primo nato — ma nato due anni dopo il mio rimpatrio — dette il nome mio. Oggi io ripenso a questo mio passato con nostalgia non delle cose che feci, ma dell’entusiasmo con cui le feci, e comunque senza vergogna. Mi feci complice di un errore, ma lo commisi in buona fede e senza trarne alcun vantaggio. Anche tu, ragazzo mio, commetterai i tuoi bravi errori. Ti auguro di poterci un giorno ripensare come me, senza arrossirne».