Giorello, il filosofo con le radici in città
Il collega amico: in migliaia alle sue lezioni, con Martini la cattedra dei non credenti
«Mi mancherà la sua voce, il tono scherzoso, beffardo, ironico. Anche il suo modo burbero con cui ogni tanto mi spiegava che le cose non erano come le pensavo io. Ci mancherà quella persona che sapeva intervenire su tante cose, che aveva un’intelligenza più unica che rara, che poteva parlare di filosofia in un seminario e al pub con la stessa serietà e la stessa attenzione». Corrado Sinigaglia insegna Filosofia della Scienza all’università Statale. Come ha fatto Giulio Giorello per lunghissimi anni. La morte del filosofo l’ha colto di sorpresa. Si erano sentiti l’ultima volta cinque giorni fa. Una telefonata conclusa con un invito a cena.
«Mi ha detto, dai, facciamo una cosa tranquilla. senza mascherina, magari un po’ lontani. Mi prendeva in giro sulla distanza…». Vent’anni di differenza. Ma non un rapporto maestro allievo. Quella tra Giorello e Sinigaglia è la storia di un’amicizia ventennale e della capacità di Giorello di creare un gruppo in grado di indirizzare gli studi filosofici milanesi.
Dopo quella telefonata cosa è successo?
«Mai avrei pensato a una cosa del genere. Avevo staccato il telefono, lo riaccendo e trovo venti chiamate, tra cui quella della compagna di Giulio. Faccio ancora fatica a crederci. La cosa che mi dispiace di più è che se fosse successo in un altro momento mezza Milano sarebbe venuto a dargli un saluto».
Perché?
«Perché Giorello era una delle tre o quattro persone più intelligenti che abbia mai conosciuto. Con una capacità di entrare nei problemi con una velocità impressionante. Gli facevo leggere i miei lavori e lui individuava subito i punti deboli. Mi ha insegnato a guardare le cose dal di fuori perché spesso i ricercatori si appassionano e ritengono che la loro materia di studio sia la cosa più importante. Con il suo modo un po’ caustico mi diceva “guarda le cose dal di fuori perché sono più importanti di quello che pensi”. È il metodo che ha applicato a se stesso. Faceva le cose che gli piacevano ma sempre con la riserva che non fossero le cose più importanti».
Guardare fuori, al di là del recinto accademico. È stata la forza di Giorello?
«Lui è figlio di una formazione diversa da quella della mia generazione, dove l’impegno sociale e politico veniva prima di tutto. Il filosofo parla alla città. Giorello è sempre stata una figura pubblica. Mi prendeva in giro perché a me invece piace moltissimo dedicarmi alla ricerca senza dover intervenire su altri temi. In ogni caso Giorello era un talento incredibile nel rendere interessante ogni intervento che faceva e senza il minimo sforzo. Mi ricordo che dettava gli articoli al dimafono senza una traccia davanti, camminava avanti e indietro nella stanza inciampando nei libri senza una pausa. Ero sconvolto».
Quali erano le stelle polari di Giorello?
«Imre Lakatos, Paul Feyerabend, Henri Poincarè. Per Giorello la filosofia della scienza aveva un grande valore politico come forma di emancipazione e i problemi epistemologici erano problemi politici. Non separava mai le due cose. E poi John Stuart Mill, il valore principale per Giorello era la libertà, la tolleranza, ma anche la libertà di difendere la tolleranza».
Una costellazione che trovava riscontro in personaggi pubblici?
«Nella società italiana mica tanto. Anche perché sono in pochi quelli che hanno avuto la sua formazione matematico scientifica e di stile anglosassone. Una combinazione esplosiva. Tra i suoi miti c’erano Finnegans Wake di Joyce e i libri di Faulkner».
C’era anche Topolino. Parlavate qualche volta di fumetti?
«La domanda dovrebbe essere diversa. C’era qualche volta in cui non parlavamo di fumetti? Lui aveva una vera passione per il mondo Disney anche se spesso usava una citazione dei fumetti per dissacrare una teoria che riteneva troppo astratta».
Apprezzava anche il Leoncavallo?
«Gli piacevano tutte le esperienze più stravaganti fino a quando non diventavano manierismo. Gli piaceva il Leoncavallo di una volta. Gli piacevano i luoghi della ribellione perché amava molto il confronto».
Un confronto particolarmente importante è stato quello con il cardinale Martini.
«Con Martini fu un incontro particolare. C’ero anch’io quando organizzò la cattedra dei non credenti. Giorello che ha sempre avuto posizioni scomode è stato in grado di far partire il dialogo con migliaia di persone. È successo lo stesso con le lezioni tenute al Piccolo con Sergio Escobar. Era un uomo che amava fare le cose».