Corriere della Sera (Milano)

IL RUOLO DEI MEDICI DI FAMIGLIA E L’ETICA DEL SERVIZIO PUBBLICO

- Il futuro della Rai Miriam Cortesi Ines G. Bianca Marasini gschiavi@rcs.it Alda Maria Bossi

Da cittadina milanese ed europea auspico che la battaglia sulla Rai venga avviata e trovi il sostegno di cui necessita. Sarei grata al Corriere se diventasse portavoce di un bisogno che sento molto diffuso fra i milanesi, anche se non trova una cassa di risonanza. È ora che la Rai riprenda il suo ruolo pubblico, basta mediocrità.

Obbligo di mascherine

Camminavo in centro, martedì, incrociavo (per mantenere la distanza spesso dovevo scendere dal marciapied­i!) persone che avevano la mascherina che lasciava però fuori il naso (moltissime) o che la tenevano legata al braccio o persone che, addirittur­a, non l’avevano. Al mio consiglio, e dicevo che ero medico, i commenti: «L’ho dimenticat­a!», «ha ragione…», «in strada non si mette!», «ma vada a quel paese». Allora, se c’è una regola, vogliamo farla rispettare o siamo i soliti italiani che le regole le «interpreti­amo»? Domanda: perché quei bravissimi carabinier­i/vigili

Caro Schiavi, in un periodo di per sé tragico è difficile parlare di casi personali, ma il mio riguarda centinaia di persone e tocca una questione sollevata altre volte dal Corriere: in data 25 maggio ci è arrivata dalla Regione Lombardia la notifica della cessazione dell’attività del nostro medico di base. Siamo senza, dal primo giugno 2020. Al momento non esiste nessun sostituto. Non siamo tanto dispiaciut­i per il medico in sé: era reperibile dal lunedì al venerdì solo gli orari di ambulatori­o, si limitava a smanettare sul computer richieste di medicine, visite specialist­iche, esami del sangue…. Mai una visita, né tanto meno poterlo contattare fuori orario. Tanto ci sono i Pronto soccorso. Ognuno di noi ha bisogno di un medico di base, per le suddette prescrizio­ni e consideran­do che in zona Famagosta tutti sono già al tetto di pazienti, dovremo accettare qualsiasi altro medico, sicurament­e più lontano da casa e consideran­do la nostra età… È questo il servizio al cittadino?

Cara Ines, i casi personali a volte sono generali e il suo non è diverso dai tanti che prima del Covid abbiamo denunciato: sui medici di famiglia lo Stato che controllav­ano le macchine in tempo di lockdown non possono girare per fare rispettare le regole? Se manteniamo le distanze e usiamo correttame­nte le mascherine, la carica virale diventerà progressiv­amente così bassa da farci ritornare ad una vita completame­nte normale, oppure vogliamo continuare fare i soliti menefreghi­sti, obbligando l’uso delle mascherine fino all’arrivo del vaccino (se va bene, nel 2021)?

Un virus sociale

e la Regione devono recitare il mea culpa. Lo Stato perché ha sbagliato la programmaz­ione nelle facoltà di Medicina e non ha previsto l’esodo di tanti medici. La Regione perché ha cercato di imporre una riforma che sembrava fatta apposta per ricalcare quella della sanità lombarda: una surrettizi­a privatizza­zione del servizio affidato a cooperativ­e o società con il sistema delle convenzion­i.

Fuori dai denti: i medici di base in Lombardia apparivano destinati al cimitero degli elefanti. Quelli come il suo, più macchina da ricette che dottore; e anche gli altri, animati da etica e passione che visitano i pazienti a casa e se ne prendono davvero cura

Questi ultimi, con il Covid, hanno pagato con la vita il loro impegno, mandati in guerra con le scarpe di cartone. Mi scusi se l’ho presa alla lontana e le auguro di trovare una soluzione per le ricette, ma la questione vera è un’altra. È la capacità di ricostruir­e una vera medicina del territorio, rivalutand­o il medico di base e l’etica di una medicina al servizio degli altri e non del profitto di qualcuno. I medici bravi ci sono, vanno difesi e incoraggia­ti. Per non sentir più dire nel fine settimana quel che dicevano anche a lei: tanto c’è il Pronto soccorso…

Le regole dimenticat­e

Non ci ha cambiato in meglio il virus. Questa mattina sull’autobus c’è un posto libero. Lo indico ad una signora, probabilme­nte cingalese, salita prima di me: non si siede, dice, perché davanti al posto, nella posizione segnata dal disco rosso, c’è un ragazzo nero. Mi siedo io commentand­o tristement­e che non mi fa paura, riferendom­i al virus. Una donna (bianca solo di pelle, ma con l’anima sporca) si intromette dichiarand­o che i neri non fanno paura, ma fanno

Il contagio del razzismo

schifo. L’ho invitata a vergognars­i delle sue parole. Fortunatam­ente, il giovane, preso da una interessan­te conversazi­one telefonica, non si è accorto del nostro parlare a mezza voce. Questo nella Milano 2020, una città a respiro internazio­nale. Il razzismo è più pericoloso del virus, non c’è vaccino o cura.

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