Ritorno al Pat dopo tre mesi: la gioia dei parenti
Prime visite liberatorie. «Ora regole per tutti»
Da marzo non potevano vedersi: ieri al Pio Albergo Trivulzio sono riprese — con norme di sicurezza stringenti — le visite delle famiglie agli ospiti. «Una gioia liberatoria», hanno detto i parenti. Ieri sono stati 143 i nuovi casi in Lombardia, di cui 83 «debolmente positivi». Dibattito sulle misure da adottare.
«Finalmente, così ti riconosco». Sono le parole di Anna, 97 anni, quando il figlio Antonio si abbassa mascherina e le mostra il volto. È la prima ospite del Pio Albergo Trivulzio che può rivedere dal vivo un parente. Baci e abbracci sono ancora vietati, ma da ieri il Pat ha perlomeno riaperto alle visite, secondo rigidi protocolli anticontagio.
Lo stop dovuto all’emergenza coronavirus è iniziato a marzo e di fatto è ancora in corso nella maggior parte delle residenze sanitarie per ananni. ziani lombarde. Il Pio Albergo invece, anche a seguito delle insistenze dei familiari, da ieri ha avviato una sperimentazione.
Antonio Oriolano per rivedere mamma Anna ha dovuto sottoporsi a due triage, così da escludere sintomi sospetti, e indossare mascherina, cuffia, occhiali protettivi, guanti, calzari, sovra-camice monouso. Stessa bardatura per la donna. Per l’incontro è stata allestita un’area all’esterno della struttura. «Una sensazione bellissima ritornare, non vedevo la mia mamma da quattro mesi: sta benissimo» dice il figlio ai cronisti, al termine della visita. «All’inizio non mi aveva nemmeno riconosciuto, ma poi ho sollevato la mascherina e mi ha riconosciuto: si è commossa, io mi sono trattenuto». Prima dell’epidemia era abituato ad andarla a trovare spesso. I mesi del lockdown «non sono stati belli».
Dopo di lui varca la porta della Baggina Piccarda, per scambiare qualche chiacchiera con la suocera Emma di 94 «Lei si aspettava di vedere il nipote più che me — dice —. Mi è sembrato il primo giorno di scuola, speriamo di ripeterlo». Al pomeriggio altri due ingressi, mentre da domani inizieranno le visite anche in Principessa Jolanda, altra struttura che fa capo al Pat. «Con i primi appuntamenti abbiamo oliato l’organizzazione — spiega Fabrizio Pregliasco, supervisore scientifico del Trivulzio per la gestione dell’emergenza coronavirus —. Erano presenti anche un medico e un infermiere». Per Virgilio Ferrario, portavoce del comitato parenti che si confronta periodicamente con la direzione del Pat, sul tema delle visite «la Regione lascia la responsabilità ai direttori delle Rsa. Servono regole regionali per la ripresa degli incontri per tutti». Il comitato la settimana prossima prenderà parte a un tavolo tecnico e chiederà norme meno severe per l’ingresso dei parenti.
«Una giornata positiva, piena di speranza per il futuro» secondo Fabio Scottà. È il vicepresidente dell’associazione di familiari delle vittime Felicita, che nei giorni scorsi ha presentato un esposto in Procura per chiedere di valutare la sussistenza di profili di responsabilità per le morti avvenute al Pat. «Determinante il contributo della prefettura, che ha ascoltato le nostre richieste». Il Trivulzio, come altre Rsa, è stato duramente colpito dall’epidemia di coronavirus ed è al centro di un’inchiesta della Procura di Milano. La direzione ha comunicato che tra gennaio e aprile nelle strutture dell’istituto ci sono stati in totale 405 decessi e 45 a maggio, ben oltre la media. Oggi la situazione «è avviata verso una normalizzazione — sottolinea Pregliasco —. Sono rimasti cinquanta pazienti positivi, tutti senza problemi particolari, per i quali si procede con la terapia».
E anche i numeri del bollettino regionale di ieri segnano un trend calante dei contagi. Sono 143 i nuovi casi emersi, 23 nel Milanese e 15 in città. Quasi la metà, 64 tamponi, sono risultati positivi a seguito di un test sierologico e si riferiscono quindi a infezioni non recenti. Sono 51 i pazienti ricoverati in terapia intensiva, 1.047 quelli in altri reparti e tre i morti, per un totale di 16.573 decessi dall’inizio dell’emergenza. Tra tutti i nuovi casi, 83 tamponi sono classificati come «debolmente positivi». E sulla reale contagiosità e sulle misure da adottare con questi pazienti la Regione si sta interrogando. «Abbiamo chiesto all’Istituto Superiore di Sanità — annuncia l’assessore alla Sanità Giulio Gallera — di introdurre una netta distinzione dei casi “debolmente positivi” rispetto agli altri, in base alle nuove rilevazioni effettuate dalla comunità scientifica». Il riferimento è allo studio coordinato dal San Matteo di Pavia in relazione alla carica infettiva di questi pazienti. In base all’analisi, in chi ha superato i sintomi, il virus ha una carica bassa e dunque non sarebbe più contagioso. «I risultati della ricerca impongono inoltre una valutazione sulla gestione dei soggetti guariti — dice Gallera — costretti a lunghi periodi di isolamento per persistente positività al tampone». Oltre 15 mila pazienti potrebbero essere «liberati».