Bianca Virginia Camagni la regista del cinema muto prima amata poi dimenticata
Dal teatro al grande schermo fino alla creazione di una casa di produzione
«A Bianca Camagni, la troppo casta peccatrice». È il 1917. Con questo ossimoro Gabriele d’Annunzio dedica all’attrice protagonista, che impersona una cortigiana, il film «La crociata degli innocenti», polpettone storico medievale tra peccato e redenzione di cui il Vate firma la sceneggiatura, tratta da una sua opera. Bianca Virginia Camagni (Milano 1885 – Canzo 1960) è una delle tante figure femminili che lavorano nel cinema muto agli inizi del ’900, quando l’industria cinematografica sta muovendo i primi passi.
La sua attività è documentata tra 1914 e ’22, la sua biografia frammentaria e ancora oscura si ricostruisce grazie a qualche articolo d’epoca. Bianca ne risulta famosa e amata dal pubblico: nell’anno d’esordio la Milano Films, legata al pioniere del grande schermo Luca Comerio, investe proprio su di lei facendone la star di numerose pellicole. In questi inizi ancora vergini, la presenza delle donne risulta frequente e attiva nel cinema in ruoli diversi, dall’attrice alla costumista alla sartina: ma tutti i loro nomi sono svaniti nella nebbia. Prendiamo allora Bianca Virginia e la sua storia come pungolo, perché qualche esperto riveda il passato in una prospettiva più completa. Sappiamo che non è una sciacquetta: brillante, raffinata, indipendente, parla le lingue, suona il pianoforte, frequenta letterati e artisti. Ma oltre al talento ha grinta e passione, la portano a spostarsi anche dietro l’obiettivo, antesignana della regia femminile, e a cimentarsi addirittura nella produzione. Non a caso in un’intervista del ’17 si racconta così: «Sono innamorata del cinematografo e sento che quest’ardore divamperà in me… Voglio respirare al ritmo della più ampia libertà e non sentirmi legata a nessun contratto preciso. Sono nata per essere pellegrina come una rondine. E faccio tutto da me: io tesso le trame, io scrivo i lavori, io li rappresento».
Una visione che richiede coraggio, sensibilità artistica e competenze tecniche. Se infatti alla vigilia della Grande guerra è solo attrice, negli anni successivi lavora alla trasposizione filmica di opere liriche, come «Pagliacci» e «Cavalleria rusticana» che interpreta lei stessa, e poi inizia l’impegno come regista per la Galatea Film: dei suoi titoli, «Il figlio della guerra» o «La piccola ombra», non è rimasto nulla. Nel Dopoguerra le imprese del cinema si bloccano per difficoltà finanziarie, ma Bianca aggiunge al disache stro l’insuccesso del «poema sinfonico visivo» intitolato «Fantasia bianca», da lei inventato, prodotto e interpretato. A questo punto la storia dice che il suo studio, la Camagni Films, bruci in un incendio e che lei sparisca di scena facendo perdere le sue tracce. Che cosa sia accaduto davvero non è dato, per ora, di sapere. Solo di recente il ritrovamento del suo certificato di nascita al Comune di Milano ha permesso di ricostruire data e luogo della scomparsa, a Canzo, dove sembra che fosse sfollata durante la Seconda guerra mondiale. Ma Bianca merita di più.
Il Vate D’Annunzio la volle come protagonista di un film del 1917 tratto da una sua opera