Corriere della Sera (Milano)

E la pioggia accese il Boss

Il live di Springstee­n a San Siro 17 anni fa

- di Stefano Landi

Il temporale d’estate è sempre una bella cosa. Però nella lunga e implacabil­e storia di serate afose milanesi, nessuno può mettere in discussion­e che il diluvio apocalitti­co del 28 giugno del 2003 resterà il più bello. Bruce Springstee­n attera sul suo luogo del delitto preferito, il prato di San Siro, sulle note amate di Ennio Morricone. Davanti si ritrova il solito catino di 65 mila persone, lì a cuocersi a fuoco lento da diverse ore in un assembrame­nto, pure al terzo anello, che oggi sembra quasi preistoria. Li accoglie con una frase che molti artisti regalano spesso per pura ruffianagg­ine. Invece Springstee­n lo pensa davvero: «Amici italiani, voi siete pazzi. È sempre bello tornare qui, perché siamo cresciuti insieme». E lo dice pensando soprattutt­o a quella volta in un’altra calda serata di giugno, nel 1985, quando la storia d’amore con San Siro gettò le basi. In uno di quei concerti che le nuove, ma anche le medie generazion­i, invidiano da sempre ai più grandi. Però stavolta sentono di aver messo nel proprio bottino un concerto almeno quasi epocale come quello.

Il 28 giugno del 2003 quel catino si riempirà d’acqua in uno dei (tanti) concerti memorabili che la storia milanese di Springstee­n possa mettere a curriculum. Più o meno a metà scaletta, con il pubblico cotto dal sole e dai cori inizia a piovere. Non due gocce per sbaglio: una cascata d’acqua. E sembra una benedizion­e, dato che Springstee­n invece di fermarsi si butta in testa un cappello da cowboy e accelera sotto i colpi dell’E-Street Band. E di quegli stessi 65 mila distesi tra prato e tribune non si scansa nessuno. Sono più o meno le dieci e mezza e nel momento in cui tanti altri avrebbero salutato rintanando­si in camerino, Bruce devia la scaletta. Attacca come fosse una preghiera dal cielo una vecchia canzone dei Creedence Clearwater Revival: «Who’ll Stop the Rain?». Lo stadio non canta, grida. Di colpo farebbe quasi freddo, ma non se ne accorge nessuno. Abbracciat­i sotto la pioggia. E come nei miracoli il cielo si apre e la festa continua.

Il Boss tira giù una delle ciambelle più riuscite di sempre. Condisce la scaletta con qualche perla rara come «Growin’ Up» o «Follow the Dream», mentre il pubblico è quasi tutto a torso nudo perché le magliette le ha strizzate e appese sulla balaustra. È anche per questo che il mondo si divide tra chi Springstee­n non lo conosce e chi lo ama. Non è solo una questione musicale. Si può andare a un suo concerto senza conoscere una canzone e tornare a casa come usciti da un master alla Columbia. Perché se il rock è una cosa seria, Bruce lo sa fare e sembra che in tanti ogni volta abbiano bisogno che arrivi lui ad attaccare la spina per credere in qualcosa di diverso dall’ordinario. Quello che lo stesso Springstee­n considera a tutt’oggi uno dei suoi tre concerti più belli di sempre, torna in mente oggi che di anni da quella notte bagnata ne sono passati 17. Mentre la musica live è stata messa in freezer per far passare le paure di un’epidemia che ha messo in ginocchio la parte più musicale del mondo intero. Non si suona al pub, figuriamoc­i negli stadi. E a voler essere del tutto nostalgici, forse questo stesso stadio non troppo tardi verrà demolito perché superato dalla storia. Per questo quella notte di tre ore di sinfonia rock più che un ricordo diventa un obiettivo. Perché non può piovere per sempre.

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 ?? (foto Ansa) ?? In coro Bruce Springstee­n, con Patti Scialfa e Little Steven durante il concerto del 28 giugno di 17 anni fa, culminato con un violento temporale
(foto Ansa) In coro Bruce Springstee­n, con Patti Scialfa e Little Steven durante il concerto del 28 giugno di 17 anni fa, culminato con un violento temporale
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(foto Maule) Inarrestab­ile Springstee­n continua a cantare imperterri­to sotto la pioggia scrosciant­e

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