Arte di strada (in maschera) dopo il Covid
Ripartono anche busker, mimi e giocolieri, ultimi spettacoli vittime del lockdown Un esercito di 1.400 persone per 270 luoghi «Diritti e inquadramento professionale»
Ultimi tra i lavoratori dello spettacolo, gli artisti di strada hanno avuto il via libera a tornare in scena. Giovedì, dopo quattro mesi, hanno ripreso i loro palcoscenici tra le vie e le piazze di Milano, anche se dieci giorni dopo gli altri spettacoli dal vivo. A provocare lo stallo con l’amministrazione comunale sono stati i protocolli di sicurezza, che hanno richiesto riflessioni più approfondite.
Quindi il provvedimento ad hoc di Palazzo Marino: distanziamento di due metri tra artisti e pubblico, organizzazione dello spazio per evitare assembramenti, utilizzo dei guanti per maneggiare gli oggetti di scena, via la mascherina solo durante la performance. Obblighi che valgono per i musicisti e le varie «espressioni» artistiche quali mimi, danzatori, giocolieri, statue viventi, clown, fachiri. Mentre colleghi dei «mestieri» (pittori, scultori, ritrattisti, truccatori) dovranno avere con sé anche prodotti igienizzanti. Sono 1.360 le persone iscritte a Stradarte, la piattaforma che disciplina le prenotazioni dei 272 postazioni dedicate. Un esercito rappresentato dall’Associazione artisti di strada a Milano, presieduta da Dario Buccino che martedì 23 giugno ha organizzato un flash mob davanti al Comune per chiedere l’immediato ritorno al lavoro. Missione compiuta, come quella originaria di stravolgere l’idea di spettacolo partendo dall’incontro con un pubblico ignaro da convertire al talento.
Le regole I protocolli di sicurezza hanno ritardato la ripresa: tra pubblico e performer dovranno esserci due metri di distanza
Buccino è un musicista sulla piazza ormai da oltre vent’anni. «È come spogliarsi di fronte a gente che non l’ha richiesto, entrando in una dimensione dove l’uomo del marciapiede diventa qualcos’altro, ovvero un artista. Io ho iniziato nella seconda metà degli anni 90 — ricorda —, eravamo una manciata, oggi sembra che se non hai suonato in strada non sei nessuno». All’estero lo chiamerebbero busker: anima di una città ma anche di una categoria fantasma alla ricerca di un riconoscimento professionale che ne stabilisca diritti e doveri. «Si contrasterebbe meglio l’abusivismo» il monito del presidente dell’Associazione che aderisce a Confesercenti. «C’è chi prenota uno slot ambito (Duomo) e poi lo diserta, chi esagera con i volumi e chi ritarda la fine dell’esibizione. Il maltempo non è l’unico nemico». Concorrenza e ostruzionismo si trovano ovunque, ma esistono storie che risiedono solo tra i «cerchi» di asfalto e sampietrini: «Stazione Cadorna, un clochard che ogni volta si alzava per porgermi una moneta — ricorda il compositore — e non posso dimenticare un gruppo di clochard che si era impegnato a raccogliere tre mila euro per finanziare un mio progetto». Il mondo capovolto.
Quando l’attitudine non è viziata dall’illusione di facili guadagni, neppure la ribalta riesce a sradicare il genio a cielo aperto. Lo dimostra la storia di Matteo Terzi, 34 anni, una laurea in Scienze politiche e tanti chilometri con la chitarra: «Ho iniziato a suonare nel 2010 a Milano, la mia città, toccando successivamente diversi paesi europei. A un certo punto ho capito che non sarebbe stata solo un’avventura in autostop, ma il preludio a un mestiere che mi avrebbe reso felice». Lo scorso anno ha partecipato si è piazzato secondo al The voice belga, scoperto per strada a Liegi. I contratti possono imbrigliare, la strada è libertà. Un palco non vale più del Castello Sforzesco, di piazza San Babila, di via Dante, «le mie prime volte». Note a piè di custodia: «In strada ho conosciuto Alessandra, la mia compagna. Cantavo i Coldplay mentre lei ascoltava lo stesso brano in cuffia...».
Il futuro Siamo una categoria fantasma, vogliamo più diritti ma anche più doveri: in troppi prenotano spazi senza utilizzarli