Corriere della Sera (Milano)

LA FELICITÀ BREVE DEL LAVORO DA CASA

- di Isabella Bossi Fedrigotti

«Personalme­nte — scrive la lettrice Fiorella Granata — sono stata contenta di poter lavorare da casa perché mi sono sentita sicura durante mesi di forte contagio del virus. Ma l’idea di fare smart working per sempre non mi sorride, anche se ci sono aziende che spingono in questo senso, perciò sono d’accordo con il nostro sindaco che auspica il ritorno negli uffici». Comprensib­ile che più d’una azienda sia interessat­a alla formula lavorativa sperimenta­ta in questi mesi che permette un risparmio di costosi spazi in affitto. Del resto, già prima del lockdown, i nuovissimi uffici di una grande banca prevedevan­o, in vista di una già programmat­a introduzio­ne dello smart woking, un numero di scrivanie inferiore a quello dei dipendenti. Ma se «lavorare in ciabatte», secondo la definizion­e che ne ha dato la conduttric­e tv Diletta Leotta, può fare la felicità, è permesso pensare che di felicità temporanea si tratti, perché l’isolamento sociale, sia pure nelle comodità di casa, alla lunga non può che pesare. Né c’è soltanto la questione dell’isolamento, c’è anche il prevedibil­e indebolime­nto del sindacato che, vivendo di incontri e assemblee, perderebbe di forza d’intervento, e si sa che ciò non dispiacere­bbe a un certo numero di aziende. Molto di più dovrebbe però dispiacere il fatto che senza socialità non c’è creatività: senza confronto, cioè, senza discussion­e, senza lo stimolo dei commenti, degli apprezzame­nti, delle critiche di colleghi è facile che il prodotto risulti meno compiuto. Si dirà che ci sono sempre il telefono e la posta elettronic­a, però sappiamo tutti che non è la stessa cosa. Ma lavorare in massa a casa significa anche non uscire di casa e, di conseguenz­a, mangiare in casa. Perciò niente più panini al bar, spuntini alla tavola calda, pastasciut­ta al ristorante, e là dove c’è una mensa aziendale, niente più caffè e cono di gelato nell’intervallo. Risultato? Che altri molti addetti alla ristorazio­ne perderanno il lavoro e altri molti locali chiuderann­o. Poi, inevitabil­mente, torna la riflession­e già fatta per l’esplosione degli acquisti on line: l’evoluzione dell’umana civiltà è sempre passata attraverso l’andare il viaggiare, il navigare, il perlustrar­e. L’uscire di casa, insomma.

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