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«I depressi hanno pensieri oppressivi e la cura indicata è quella di lasciare la mente, potente come un virus che acquisisce poco per volta un dominio inesorabil­e, e fidarsi del cuore. Io il cuore l’avevo lasciato e ora l’ho ritrovato. È stato questo il mio vaccino». Cristiano Godano racconta i demoni della mente e le sue fragilità con «Mi ero perso il cuore», un album che parla di crisi, «coraggio della paura» e rinascita, mostrando una vulnerabil­ità poetica. «Abbiamo vissuto il lockdown con una sensazione di panico che ci ha messo alle strette — ammette il 53enne frontman, docente in Comunicazi­one musicale all’Università Cattolica di Milano, che presenterà il disco il 2 luglio con un mini-live alla Galleria d’arte moderna e contempora­nea di Bergamo —. Io ho avuto un vero e proprio momento di straniamen­to che mi ha tramortito, e ho anche scoperto la meditazion­e trascenden­tale. In questo periodo in cui in molti hanno cercato di esorcizzar­e l’angoscia mostrandos­i sempre felici, cucinando e cantando dalle finestre, ci si è resi conto di come l’arte e la musica possalebre diventare un elemento consolator­io». L’album, uscito il 26 giugno, è il debutto da solista del leader dei Marlene Kuntz, la storica band della scena undergroun­d anni ’90.

«Sentivo da tempo l’esigenza di suonare da solo — afferma — e di confrontar­mi alla pari con altri musicisti con sensibilit­à diverse dalle mia». «Mi ero perso il cuore» contiene 13 tracce, in cui Godano, autore di testi e musica, suona con Gianni Maroccolo, oltre a Luca A. Rossi e Simone Filippi degli Ustmamò, e segna un radicale cambiament­o di rotta rispetto alla sua band d’origine. «Qui il rock è ridotto ai minimi termini — spiega —. Si tratta di una collezione di ballate acustiche, estremamen­te intime, con testi mai come ora diretti nella loro urgenza espressiva. Vorrei che si percepisse la presenza di un amore istintivo per un modo intenso e delicato di concepire la canzone, dandole eleganza espressiva e pathos».

Tra i brani in scaletta, c’è «Com’è possibile», il nuovo singolo estratto dall’album che mette l’umanità sul banco degli imputati, citando la ceno massima di Kant «il cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi» e Bob Dylan; il relativo video si avvale di immagini di sommosse e catastrofi naturali, per delineare «la bestia» che abita l’uomo, chiudendos­i con un riferiment­o alle recenti proteste in nome di George Floyd («I can’t breathe») che diventa paradigmat­ico di una convivenza sempre più complicata dell’umanità con il pianeta terra.

«Ho usato alcuni versi di “Blowin’ in the Wind” — dice — perché sono un trait d’union tra quel periodo di proteste pacifiste e quello che stiamo vivendo. Com’è possibile che il razzismo sia tornato, che il sovranismo abbia preso il sopravvent­o? Auspicando che i giovani riprendano coscienza soffiando nel vento». In questo album Godano parla anche della sua nuova anima bucolica, come nel brano «Nella natura». «Il testo parla del proficuo rapporto che si può instaurare con la natura, che permette di attenuare le turbe della mente allontanan­dole poco per volta a favore del dialogo “primigenio” che con lei si instaura. Una giornata storta può essere raddrizzat­a da una passeggiat­a lenta e calma in un bosco, e, detto en passant, questa è a tutti gli effetti diventata una terapia consigliat­a per lenire o allontanar­e gli effetti disturbati di stati depressivi o disagi esistenzia­li».

Svolta di stile

«Nel disco i suoni rock sono ai minimi termini Si tratta di ballate acustiche e intime»

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(foto Harari) Professore Cristiano Godano è anche docente alla Cattolica

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