QUELLE POESIE DI VENEZIA DA METTERE IN VALIGIA
L’estate è vacanza. Anche senza andare in vacanza. Certo meglio andarci, ma anche se non ci andassi farei lo stesso una valigetta leggerissima con dentro: un antizanzare (anche loro li gradiscono), una mascherina lavabile, una formina per farmi i ghiaccioli da me, un sacchetto verde per raccogliere rametti da trapiantare, un ex porta-pellicole-kodak per raccogliere semi e pietruzze, un telo sottile per sedermi sotto un albero a leggere. («Perché legge?» mi chiese anni fa sbalordito un bambino in spiaggia indicando il mio nipotino incollato da un’ora come un attack a Harry Potter).
Leggere cosa? Per esempio, poiché la lingua veneziana, con la sua melodia quieta, sa medicare il lettore e le sue ferite come una madre: «A dir el véro» di Andrea Longega (MC edizioni, solo 10 euro). Pasquale Di Palmo ben sottolinea che questa poesia ha la delicatezza rovente di un vetro di Murano (dove il poeta vive). Poesia alta ma magretta, dunque in valigia ci stanno anche i suoi lodati «Atene» e «Caterina» (quest’ultima è una pulitrice di camere d’hotel, una delicata registratrice dei nostri fuggitivi passaggi; esaurito, speriamo in ristampa). I versi di Longega sono anche per digiuni di poesia, tersi come vetri che non vedi. «Se mai i me domandarà cos’è / l’amore? cossa el volérse ben? / ghe rispondarò quasi l’ultima scena / del film Silkwood (1983) / co Meryl Streep e Kurt Russell / che se varda e se saluda na matina / pàlida de novembre , sensa savér / che i no se vedarà mai più…».