Corriere della Sera (Milano)

LA PLASTICA RIEMERSA IN UN MARE DI GUANTI

- di Antonio Lubrano

Ma noi cittadini in vacanza, persone d’ogni giorno, possiamo salvare il mare? L’interrogat­ivo ha qualcosa di apocalitti­co, però in tempo di ferie noi su qualsiasi spiaggia italiana dobbiamo chiedercel­o. Specie quando lasciamo l’ombrellone e ci buttiamo nell’azzurro per godere della freschezza delle onde. Ogni anno, sarà opportuno ricordarlo, ben otto milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono in fondo agli oceani. È stato persino calcolato che ogni chilometro quadrato di mare ospita 63mila frammenti di plastica, che diventano — sia chiaro — cibo per i pesci. Questo inquinamen­to globale della superficie azzurra si era in qualche misura fermato sul finire del 2019 grazie anche ai movimenti «plastic free» ma l’arrivo della pandemia tra il febbraio e l’aprile di quest’anno ha provocato quello che è stato facilmente definito «il grande ritorno della plastica». C’è bisogno infatti di ricordare che i guanti usa e getta, le mascherine chirurgich­e, i grembiuli, le tute, le cuffie, i contenitor­i di cibi (a domicilio) o le vaschette di frutta e verdura sono fatti della odiata materia? E che da febbraio a giugno (e ancora adesso) tutti abbiamo adottato questi dispositiv­i di protezione? Non so più quale degli esperti di turno in television­e ha dato questa sentenza: «Nel 2050, se si continua così, il mare conterrà più plastica che pesci». Ha il sapore del paradosso, certo. Ma c’è poco da consolarsi calcolando che al 2050 mancano ancora 30 anni...

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