Tra i melomani: «Diverso, ma è sempre il mio teatro»
Autocertificazione, gel e una nuova emozione «Si riprende a vivere»
Le maschere in maschera. E come non bastasse, pure con la visiera. L’effetto è straniante soprattutto per chi ci sta sotto e soffre in silenzio: «Si appanna...», dice un’assistente di sala, mentre attraversa il foyer trasformato in una vasca tipo piscina olimpica. Cinque ingressi separati, con tanto di cordoni: però chi entra non rinuncia al fascino antico della frenatina prima di andare dritto al posto come fosse a scuola. Una Prima diversa, ma comunque una Prima, anche se più sudata e distanziata di quella in pelliccia di San’Ambrogio.
Un colpo di gel alle mani, poi giù sulle ginocchia per favorire la fronte in favore di misurazione della febbre al termoscanner. L’autocertificazione sventolata come un trofeo. «È sempre la mia Scala, ma diversa — dice la melomane Adele Farina, con addosso tutta l’emozione di chi riscopre qualcosa di dimenticato dopo quattro mesi e mezzo. Fosse calcio, esserci stati ieri è stata una prova di attaccamento alla maglia. Gli habitué tornano a salutarsi, anche se, ad essere sinceri, molti sotto la maschera non si riconoscono. «Temevo aspettassero settembre, è bello aver fatto da apripista», ammette una signora che sfoggia mascherina paillettata che vince per distacco il dress code di serata, insidiata da chi azzarda la mascherina intonata al cravattino. A livello estetico, c’è un po’ di ricerca ma (molto) meno del solito. «Si torna a vivere» è la frase più calorosa. Arriva anche il governatore Attilio Fontana. Parla di «grande segnale di ottimismo per il futuro». Un po’ come il sindaco Beppe Sala, per cui «una grande città può risorgere solo dalla sua cultura».
La gente prende posto con un’ora buona d’anticipo, nonostante non sia prevista ressa ci si muove con margine per evitare assembramenti. Molti si perdono in spazi che conoscono da una vita. Entra la signora che da 18 anni si tiene da parte la divisa ufficiale per ogni Prima ma anche la ragazza in tenuta balneare accompagnata da compagno inglese che fa l’inglese in camicia hawaiana maniche corte. Ci sono pochissimi stranieri, tantissimi milanesi.
Vista dall’alto la scena è epocale: distanziati e in maschera ma con rispetto dei congiunti che siedono vicini. Susanna Benardon e Valentina Bossetti hanno una luce diversa negli occhi: «Siamo medici, abbiamo vissuto l’emergenza e abbiamo visto una Milano deserta che sembrava in ginocchio. Oggi è ancora più bello», raccontano.
Alle otto sul palco sale il sovrintendente Meyer, annuncia il forfait del fuoriclasse di serata, il baritono Salsi. Dal Loggione la spiegazione filtra dritta: «Sabato a Piacenza ha cantato il duetto della maledetta di Verdi e come da tradizione ha colpito. Quella è l’opera più iellata». «Cantare all’aperto rovina la voce. Toscanini lo diceva che all’aperto al massimo si gioca a bocce».
Il Loggione fa il Loggione, ma al di là del destino ieri era davvero è una serata diversa. Di quelle dove conta esserci. Cosa che a Milano, soprattutto se a numero chiuso, piace da sempre. «Oggi la Scala è place to be». In tanti sentivano il bisogno di ritrovarsi qui. Un altro mattoncino che torna al suo posto. Persino per chi gioca a farsi vedere è un traguardo raggiunto.