Impronte
Dalle chiese alle «case basse» La versatilità di Mario Tedeschi architetto con il gusto per l’arte
«Come i bambini, può dare del tu all’architettura e del tu all’arte. Sa che cosa sono». Gennaio 2006: Lisa Ponti, artista, figlia di Gio Ponti, scrive un affettuoso ricordo dell’architetto, disegnatore e giornalista Mario Tedeschi, scomparso da poco. Scrive al presente, come se l’amico ci fosse ancora, e affida le parole alla rivista «Domus»: al prestigioso magazine d’architettura e design suo padre aveva chiamato come redattore fin dal 1948, due anni dopo la laurea al Politecnico, proprio il giovane Tedeschi, di cui apprezzava l’incisività grafica e gli interessi poliedrici. Milanese classe 1920, protagonista poco studiato del Razionalismo, Tedeschi resterà a «Domus» fino al 1965, intrecciando al lavoro di redazione mille impegni e talenti: progetta, dipinge, ristruttura, immagina edifici e arredi con un’inventiva che non teme di confrontarsi con l’antico, come ancora sottolinea Lisa Ponti. In casa conserva uno dei «Sette Savi» di Fausto Melotti, colleziona armi storiche e modelli di velieri: uomo di mare e velista, trasforma questa passione in interesse per l’archeologia navale e ne diventa un esperto. Ma non è finita qui: con il collega Paolo Tilche conduce in Rai dal 1956 al 1963 la trasmissione televisiva «Il piacere della casa», anticipatrice del gusto per il moderno design.
E le opere? Di multiforme ingegno, Tedeschi esplora strade e tipologie diverse, dalle ville private sui laghi ai restauri di ambienti storici, dagli oggetti agli interventi urbanistici. Ma il suo nome a Milano è legato soprattutto ad alcuni spazi sacri. Nel 1947 vince il concorso nazionale per la chiesa del quartiere sperimentale QT8, Santa Maria Nascente, che realizzerà tra ’53 e ’55 con Vico Magistretti. Immagina un edificio a pianta centrale, isolato rispetto agli immobili residenziali e costruito su due cerchi concentrici, corpo di fabbrica e portico circostante. Il portico, struttura portante in cemento armato di 16 pilastri, sorregge il tetto in tegole, tra copertura e muro una finestra a nastro crea una suggestiva lama di luce. Del ’58 il suo capolavoro, la chiesa di Santa Marcellina in viale Espinasse, zona Certosa, in collaborazione con lo scultore Carlo Ramous. Scenografica la doppia facciata, collocata come una quinta teatrale al termine di un sagrato verde: a vista un pannello in cemento armato di 130 metri quadri con grandi figure sacre a rilievo, dietro il fronte vero e proprio, tra i due un passaggio che permette l’accesso dei fedeli. L’interno in mattoni a vista, pareti collegate da una fascia orizzontale in cemento intonacato, richiama i colori della tradizione lombarda. Mentre la pianta a croce latina si dilata verso il presbiterio illuminato da ampie vetrate. Il sodalizio con Ramous si rinnova in San Giovanni Bosco a Baggio, 1965, ancora più spoglia, austera e raccolta. Tra gli edifici civili, suo uno dei gruppi di case basse del quartiere Ina Harar, dove insulae di abitazioni unifamiliari si alternano in modo dinamico ai cosiddetti «grattacieli orizzontali».