Mozzati: Feltrinelli, porte magiche e anonimato La mia libreria vista Duomo
«Alla Feltrinelli Duomo posso passare delle ore Un giro in centro non può prescindere da qui»
Gira tutto, da subito, intorno a una foto (incorniciata). Quasi una reliquia. Michele Mozzati l’ha portata da casa, di solito è appesa nel suo studio, dietro alla scrivania. Non è così vecchia, al massimo vent’anni. Lui ammette di non ricordare la data, «poteva essere il 2000, o l’anno seguente». La Feltrinelli in piazza Duomo ha aperto nel ‘99, quindi si tratta di uno dei primi eventi. Cosa si vede? Sei uomini che ridono. Forse a una battuta di Gino Strada, seduto a capotavola, o del corrispondente di guerra Ettore Mo, inviato speciale del «Corriere», al centro. A un lato c’è Vauro, era la presentazione del suo libro, «Premiata Macelleria Afghanistan», dalla parte opposta Mozzati e il socio di una vita Gino Vignali (Gino & Michele, la coppia che ha firmato Zelig e spettacoli teatrali, che dirige Smemoranda e ha pubblicato le fortunate raccolte delle Formiche).
Quella sera, quella presentazione, a Mozzati è rimasta dentro. «Ce ne sono state altre, almeno una decina, come autori o come spalle, ma l’alchimia, l’emozione di quella volta, sono uniche». Punto. Dopo, è rimasta dentro anche la Feltrinelli. «Sembra pubblicità se ammetto che mi sento di casa?». Lo spiega: per lui, nato e cresciuto nel quartiere di Porta Vittoria, «la periferia più vicina al centro», il Duomo è affetto, è l’infanzia. «Quando ero piccolo mio padre, maestro elementare, portava me e le mie sorelle la domenica sul sagrato. L’abitudine del giro in centro, dello sguardo verso il Duomo, è sopravvissuta. Automaticamente, si è inserita nel cerchio la libreria». Parla dei Feltrinelli, di Inge, «conosciuta solo verso la fine», e di Carlo, «dopo questa bella tiritera, mi aspetto una sua telefonata nei prossimi giorni». E aggiunge, «la Feltrinelli Duomo è una libreria con porte magiche: entri da una parte, dal sagrato, esci dall’altra e sei dentro la Galleria».
Di nuovo serio, racconta le sue (ultime) incursioni. «Qui vengo volentieri, lo spazio è grande e starci dentro, anche a lungo, non mette ansia. Inoltre la mascherina mi nasconde, viaggio in incognito. Vengo a controllare dove è stato messo il mio ultimo romanzo, “Quel blu di Genova” (La Nave di Teseo). Qualche giorno fa l’ho tirato fuori da una pila e appoggiato in verticale su uno scaffale perché si vedesse la copertina anche da lontano. Lo fanno tutti, sono l’unico ad ammetterlo?», e subito chiede al direttore, Emanuele Lugani, «non è più lì, li rispostate voi, vero?».
Altro ancora sulla libreria. «Mi manca l’apertura serale, fino a tardi, a volte si usciva da un ristorante e si metteva la testa dentro. Mi sono sempre piaciuti anche gli incontri per i bambini, i miei figli li hanno frequentati: vedere tanti marmocchi in mezzo ai libri, fa ben sperare». Libri, futuro. «Ho avuto la fortuna, insieme a Gino Vignali, di azzeccare il giusto filone: le nostre Formiche hanno venduto milioni di copie, e mi piace pensare che abbiano avvicinato alle librerie anche persone che altrimenti non sarebbero entrate e che poi si sono in qualche modo fermate. Riuscissi a vendere le stesse copie con il romanzo!».
Vecchie abitudini Mi manca l’apertura serale fino a tardi, a volte si usciva dal ristorante o da una cena con gli amici e si metteva la testa dentro per curiosare