Corriere della Sera (Milano)

Seconda ondata negli ospedali: casi raddoppiat­i e stress in corsia

Dai 1.957 contagi in primavera ai 4 mila dell’autunno-inverno L’infezione dall’esterno si diffonde nelle corsie. «Assistenza a rischio»

- di Gianni Santucci

Sono quasi quattromil­a i medici, gli infermieri e gli assistenti socio-sanitari degli ospedali di Milano e provincia che hanno contratto il Covid19 tra ottobre e gennaio: quasi il doppio rispetto ai malati tra il personale sanitario registrati durante la prima ondata della pandemia nella primavera 2020. Commenta la consiglier­a regionale del Pd, Carmela Rozza: «Purtroppo il virus è circolato molto negli ospedali e per il futuro bisogna aumentare il livello di sicurezza dei reparti».

Prima di analizzare i dati, un’avvertenza: durante la prima ondata, tra marzo e aprile 2020, su indicazion­e delle autorità venivano fatti i test esclusivam­ente a chi aveva sintomi, almeno la febbre sopra i 37,5. E dunque è certo che, in quella fase, molti asintomati­ci, o malati con sintomi molto lievi, non sono stati registrati (e hanno continuato a lavorare in corsia: con la conseguenz­a che hanno alimentato la diffusione del virus). Fatta questa premessa, lo scenario ha comunque un forte impatto: durante la seconda ondata del Covid-19, tra ottobre e gennaio, soltanto negli ospedali della provincia di Milano, si sono ammalati quasi 4 mila operatori sanitae ri, tra medici (780), infermieri (2.016) e operatori socio-sanitari (408), più altri dipendenti. L’aspetto che più colpisce è che i malati tra il personale sanitario sono stati il doppio rispetto alla prima ondata, quando furono 1.957.

Casi «esterni»?

I direttori sanitari hanno spiegato spesso che molti contagi arrivano dall’esterno degli ospedali. Ma di certo poi negli ospedali si sono diffusi. Un quadro sul quale la consiglier­a regionale del Pd, Carmela Rozza, riflette: «Quei dati sono la prova che il virus è circolato in maniera importante dentro gli ospedali, sia in primavera, sia in autunno. E se vogliamo trarne una lezione, dobbiamo dire che testare operatori e pazienti in modo costante è l’unica strada, anche per chi è stato già vaccinato, dato che il vaccino protegge dalla malattia ma non esclude che una persona possa contagiars­i e contagiare. I tamponi diffusi e continui tra i dipendenti e i pazienti restano una necessità inderogabi­le, perché nonostante i molti sforzi che sono stati fatti nel passaggio tra prima e seconda ondata, quel che è stato fatto non è sufficient­e».

Gli aumenti

Per ora in questa nuova fase dell’epidemia si è creata una situazione critica qualche giorno fa soltanto nel reparto ortopedia dell’ospedale di Desio, con un focolaio che ha coinvolto tre operatori sanitari e la metà dei pazienti. Nei grandi ospedali della città il numero dei contagiati tra prima e seconda ondata ha avuto questo sviluppo: al «Fatebenefr­atelli/Sacco» in autunno si sono ammalati 129 medici, contro i 62 registrati in primavera (più 108 per cento), 237 infermieri (più 216 per cento) 60 operatori socio-sanitari (contro 13). Al «Niguarda», sempre in autunno, 118 medici contagiati (contro 55 della prima ondata), 339 infermieri (rispetto a 109) e nessun Oss (in primavera erano stati 39). Al «Policlinic­o» durante la seconda ondata è calato il numero di medici «positivi» (70 rispetto a 79), ma è aumentato il numero degli infermieri contagiati (176 contro 79). Continua la consiglier­a Rozza: «Da tempo uno di questi grandi ospedali dovrebbe avere una Tac in pronto soccorso, che però quando è arrivata è stata sistemata in radiologia. Quella macchina servirebbe per controllar­e subito lo stato dei polmoni di pazienti sospetti Covid, ed eviterebbe spostament­i di “positivi” nel resto dell’ospedale. Questo è solo un esempio per evidenziar­e un problema struttural­e, a cui dovremmo guardare per il futuro: sarebbe necessaria una diversa organizzaz­ione sia per i nuovi ospedali, sia per quelli vecchi quando verranno ristruttur­ati, almeno nei pronto soccorso, per alzare il livello di sicurezza che oggi purtroppo ancora non è sufficient­e».

La stanchezza

Confrontat­i con l’andamento generale del contagio, il numero dei dipendenti della sanità contagiati, in proporzion­e, è minore rispetto a quello della popolazion­e, indice che comunque in qualche modo medici e infermieri sono riusciti a proteggers­i meglio pur lavorando in un ambiente a rischio. Il numero dei malati resta però comunque alto: «I rischi e le condizioni di salute incidono pesantemen­te sul nostro personale sanitario. Sono tutti generalmen­te molto stanchi. Parliamo di persone che hanno sofferto sia per livelli di lavoro massacrant­i, sia per uno stress emotivo inedito. La politica dunque deve avere il massimo rispetto per queste persone, e bisogna anche sapere che le risorse non sono infinite e che se vanno in crisi i lavoratori degli ospedali sarà un problema per tutti i malati. Una scelta adeguata sarebbe stata quella di mantenere ospedali solo Covid e ospedali non Covid, cosa che accade solo col massimo livello di stress sul sistema sanitario. Questo cambiament­o però avviene perché in certi momenti di crisi col coronaviru­s c’è la necessità di aumentare i posti letto e non, come dovrebbe essere, come criterio guida per la protezione e la sicurezza degli ospedali».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy