Ressa interista Pericolo (quasi) scampato
Cislaghi: «Dopo 14 giorni nessuna incidenza, una sorta di esperimento scientifico»
Sono trascorse due settimane dalla festa interista in piazza Duomo. «Finora nessun segnale di aumento dei casi» dice il professor Cesare Cislaghi.
La curva interista ha alzato la voce, ma non ha fatto alzare la curva dei contagi. Sono passate due settimane. Quattordici giorni esatti. Era il 2 maggio. Trentamila tifosi nerazzurri in piazza del Duomo a festeggiare lo scudetto. La distanza temporale corrisponde a quello che la medicina ha finora definito il tempo verifica. E dunque: fin qui tutto bene, pur se è stato il più imponente assembramento a Milano da quando è iniziata l’epoca del distanziamento anti coronavirus. «Finora non c’è stato alcun segnale di aumento — riflette Cesare Cislaghi, ex docente della Statale ed ex presidente dell’Associazione italiana di epidemiologi — non è detta l’ultima parola, ma negli ultimi giorni vediamo la stessa tendenza nell’andamento dei nuovi positivi, un trend di lenta ma continua decrescita. Di certo non s’è vista alcuna inversione, e questo è un bene».
Ed è anche uno spunto di riflessione sulle dinamiche dell’epidemia, un segnale di speranza per i prossimi mesi, se consideriamo la festa scudetto come una sorta di spontaneo e improvvisato «esperimento scientifico» da cui trarre alcune considerazioni. «Il legame tra l’andamento dei contagi e il raduno in Duomo non s’è visto e sicuramente non c’è un’evidenza — spiega il professor Cislaghi — Bisogna aspettare ancora una settimana per esser certi che da quell’occasione non si sia innescata alcuna catena di contagio, ma possiamo dire che i giusti timori avuti quel giorno per fortuna non si sono concretizzati».
Quel maxi assembramento all’aperto, e soprattutto il fatto che non sia stato un moltiplicatore della malattia, sembra al momento avere una corrispondenza con evidenze scientifiche sempre più solide: «C’è un fatto che emerge con interesse e da tenere in considerazione — spiega il decano degli epidemiologi italiani —. È sempre più evidenziato il rischio di contagio non solo legato al droplet (micro gocce di saliva emesse durante una conversazione, ndr), ma anche del virus in sospensione in ambienti chiusi. Ora si sta cominciando a vedere questo in maniera sempre più “solida”. E ci conferma l’importanza di evitare il più possibile le riunioni in luoghi chiusi e di aumentare l’aereazione. Si tratta di un aspetto difficile da analizzare, perché a livello di laboratorio si intravede la presenza, ma non si riesce a dimostrarne la capacità di contagio e il livello di rischio, pur se dei lavori scientifici esistono, tra cui uno pubblicato di recente sulla rivista Nature. Stando a queste evidenze, come politica di cautela, si giustifica la distinzione tra ristoranti e piscine all’aperto o al chiuso».
E se gli interisti invece che in piazza si fossero radunati in un palazzetto dello sport? «Difficile dire cosa sarebbe accaduto — risponde Cislaghi
— La concentrazione nell’aria però ha di certo un ruolo nel contagio, pur se inferiore e con un peso residuo rispetto a quello interumano. In un ristorante al chiuso però di certo non basta il metro di distanza, pur se non c’è ancora una misurazione precisa del rischio». Quali altri elementi sono da tener presente in questa fase? «Il segnale forse più positivo — conclude il professore — è la diminuzione della letalità, dunque del numero di morti rispetto ai contagiati. Noi lavoriamo sul rapporto tra decessi e contagi delle due settimane precedenti, che ora si sta assestando su una percentuale di 1,5, molto bassa rispetto a qualche mese fa, quando era al 4. È l’effetto del fatto che la maggior parte dei più anziani è coperta dal vaccino».
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