Maschere e ipocrisie sull’omosessualità
«In scena sono Andrea, il figlio di una madre palermitana che è il simbolo di quella tiepida infelicità che bisogna sempre mostrare per non suscitare invidie. Una condizione che diventa un modo di essere, la vita di una generazione di donne spesso vittime di sé stesse». Giuseppe Lanino da stasera è al Teatro Elfo Puccini con il suo monologo, «In attesa di Manon», una commedia in cui si riflette con leggerezza sull’incapacità di sentire ed esprimere verità e sentimenti ( fino al 23 luglio, ore 19.30, 33 euro). Tutto accade in un salotto borghese in un clima di festa, un compleanno dove l’ospite d’onore, Manon, non è ancora arrivata. L’occasione per il figlio di parlare di sua madre, ma anche di confessare la propria omosessualità e progettare la sua fuga a Milano, il luogo dove tentare di essere sé stessi. Un monologo dai toni leggeri, ma dai risvolti amari, tratto da «La morale del centrino» il romanzo di Alberto Milazzo in cui il tema dell’identità, dell’accettazione dell’altro sono protagonisti. «Qui c’è il ritratto della media borghesia del nostro Sud — afferma Lanino — i “difetti” come i graffi di un mobile si devono nascondere sotto un bel centrino, che ingentilisce e uniforma tutto. Anche Manon cerca di cucire su suo figlio un centrino, un’aureola di cotone che soffoca la libertà di riconoscersi e di potersi dire felici».