Spesa, casa, salute: più 23% i costi per i giovani e single
Confronto con le grandi aree metropolitane. «Retribuzioni nella media o più basse»
Sarà per i monolocali che viaggiano sui 900 euro al mese d’affitto. O per ristoranti, bar e beni di prima necessità che da oltre un anno hanno subìto l’impennata dell’inflazione (oggi lievemente ridotta). Fatto sta che a Milano il costo della vita è altissimo. E lo è ancora di più per i single tra i 18 e i 29 anni, per i quali è superiore del 23% rispetto alla media delle grandi aeree metropolitane e del 37% più alta della media delle città con più di 50 mila abitanti. A dirlo il report sulle retribuzioni e il costo della vita di Tortuga e Adesso!, rispettivamente centro studi indipendente di ricercatori e studenti di economia e, il secondo, progetto di media activism. In più, i dati, che riguardano circa 200 mila under 29 della Città Metropolitana, mettono nero su bianco che per uno studente o un giovane lavoratore appena arrivato a Milano il costo del paniere minimo di beni e servizi che definisce la soglia di povertà assoluta è di 1.175 euro al mese, contro una media di 955 euro nelle altre grandi aree metropolitane italiane. Allo stesso tempo, però, tra i lavoratori a basso reddito del settore privato la retribuzione oraria lorda per un giovane under 30 è di appena 7,73 euro all’ora, poco più alta rispetto a quella nazionale (7,46 euro) e addirittura più bassa di quella media lombarda (7,77 euro). Quindi, nonostante un costo della vita nettamente più alto che altrove, sotto la Madonnina le retribuzioni lorde orarie sono in linea, quando non più basse, di quelle del resto d’Italia.
Per Francesco Armillei, 28enne ricercatore in economia alla Bocconi e socio di Tortuga, «la china che la città sta prendendo è quella di un luogo dove i single vengono tagliati fuori, perché i costi sono elevatissimi e offre sempre meno opportunità. E specialmente nelle fasce giovani e in quelle in cui i ragazzi hanno un reddito più basso il gap tra paga oraria e costo della vita non si colma».
A Milano la retribuzione lorda oraria si attesta sugli 11,14 euro e sebbene superi sia quella media nazionale (10,35 euro), sia quella media lombarda (10,77 euro), non basta a compensare il costo della vita. E il discorso non cambia neanche considerando il 10% di giovani con redditi più alti: la differenza tra la media milanese (17,26 euro all’ora) e quella italiana (15,12 euro) è del 14,1%, ma — rivela Armillei — «lontana sia dal 23% in più del costo della vita nelle altre città metropolitane sia dal 37% in più rispetto ai centri più grandi». Continua Armillei: «Il rapporto indica quali siano le fasce di lavoratori più in difficoltà. Giovani, con un basso livello di istruzione, in aziende medio piccole, in fondo alla scala dei redditi: per loro lo scollamento tra salari e costo della vita è molto significativo. Istituzioni
e parti sociali devono garantire un livello adeguato dei salari e un livello di prezzi più allineato».
Una situazione che per Tomaso Greco, fondatore di Adesso!, impone una riflessione. «Stando ai dati Ocse, l’Italia è l’unico Paese avanzato in cui i redditi negli ultimi vent’anni sono diminuiti. E a Milano diventa evidente quello che succederà nel resto d’Italia. Il costo della vita aumenta, dagli affitti alla spesa alla salute, gli stipendi sono fermi da anni». Da qui, la rinnovata proposta di un «living wage» sul modello del salario minimo londinese. «Bisogna — conclude Greco — sbloccare la contrattazione territoriale e aziendale incentivandola con la detassazione».