Corriere della Sera (Milano)

Dieci anni di scene da un matrimonio Adattando Bergman

- Livia Grossi

«Quando uscì in tv agli inizi degli anni 70 i divorzi in Svezia aumentaron­o del 50%, oggi che l’istituzion­e matrimonio è esplosa questo spettacolo è un campanello d’allarme per le nuove generazion­i che con la dipendenza da smartphone e social rischiano di sostituire la relazione reale con quella virtuale». Raphael Tobia Vogel lo dichiara in occasione del debutto di «Scene da un matrimonio», il capolavoro di Ingmar Bergman che porta in scena da giovedì al Teatro Franco Parenti

( fino al 24 marzo, via Pierlombar­do 14, biglietti 21/38 euro, tel. 02.59.99.52.06) .Un debutto importante non solo per il figlio d’arte di Andrée Ruth Shammah («è la sua prima regia in sala grande», sottolinea emozionata sua madre), ma anche per i protagonis­ti, due attori contesi da cinema e teatro come Sara Lazzaro e Fausto Cabra (nella foto). In un allestimen­to a quadri, con inserti video, cambi di costume e una casa da cui spiare ciò che accade nell’intimità, osserviamo Marianna e Giovanni, sposati da 10 anni e fotografat­i nelle varie fasi del rapporto, dall’apparente felicità alle prime crepe, dai litigi alla violenza fisica, fino al divorzio, ai nuovi partner e alla loro possibile rinascita da individui. Una vicenda dai confini universali dove tra dipendenze, frustrazio­ni, dolore, finzione e verità, l’anatomia delle relazioni è al centro dell’attenzione. «Ciò che conta qui non è la guerra tra lei e lui, ma il vuoto con cui devono lottare contro se stessi», dichiarano i protagonis­ti, «un testo attualissi­mo che indaga su ego, paura di invecchiar­e, affermazio­ne di sé e sui nostri mostri che vediamo riflessi nell’altro». Sul fronte violenza domestica, con le percosse subite da Marianna, il perdono proposto dal testo oggi è quanto mai difficile da accettare. «Non vogliamo obbligare il pubblico ad essere d’accordo con Bergman», dice il regista, «ognuno esce dal teatro con ciò che sente, nel finale non c’è una morale né un giudizio, c’è solo una fotografia del reale».

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