Marco Bellocchio e Nanni Moretti per i «Pugni in tasca»
Cinquant’anni dopo torna, in sala e in dvd, l’opera d’esordio del regista piacentino
«Un arrivo folgorante nel cinema italiano». Così Michel Ciment definisce il lungometraggio d’esordio di Marco Bellocchio, I pugni in tasca, presentato nel 1965 al Festival di Locarno. Un esordio che, nel cinquantesimo anniversario dell’uscita, torna da oggi nelle sale italiane e in dvd (Edizioni Cineteca di Bologna, arricchita da un libro che raccoglie, tra i molti saggi, un’intervista esclusiva di Ciment a Bellocchio) grazie al nuovo restauro realizzato dal al laboratorio L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna, in collaborazione con Kavac Film, con il sostegno di Giorgio Armani e curato da Marco Bellocchio stesso. Dopo l’anteprima in agosto proprio al Festival di Locarno, che ha festeggiato l’anniversario con il Pardo d’Onore a Bellocchio.
Stasera il regista lo presenterà al Nuovo Sacher insieme a Nanni Moretti, per un appuntamento in collaborazione con Piccolo Cinema America.
Con I pugni in tasca l’allora ventiseienne Bellocchio lancia il suo primo grido di rivolta contro ogni istituzione, mette in scena l’autodistruzione d’una famiglia anomala ed esemplare, attaccando anche il cattolicesimo e altre colonne importanti della borghesia italiana. Selvaggio, sarcastico, molto liberamente autobiografico, girato nelle campagne di Bobbio, porta in scena un eroe antisociale e ribelle. In equilibrio fra adesione e distacco dalla folle lucidità del protagonista, il regista prefigura alcuni umori del Sessantotto. A cinquant’anni di distanza mantiene intatta la propria modernità e carica corrosiva.
La trama è costruita intorno alla figura di Lou Castel: «Volevo raccontare una storia molto personale — ha raccontato Bellocchio —. Pensai a un tema che aveva attraversato la mia adolescenza, quell’aspetto infelice della vita di famiglia in cui alcuni, soprattutto mio fratello Paolo, distruggevano ogni possibilità di gioia, obbligandomi a nascondermi. Poi ho costruito gli altri personaggi, in particolare la madre. Alcune cose venivano dalla mia famiglia, altre erano frutto di fantasia. Sapevo anche di dover realizzare un film piuttosto intimo, perché i soldi erano pochi. All’inizio tentammo di coinvolgere un personaggio assai popolare, Gianni Morandi. Era molto giovane e il produttore Enzo Doria lo conosceva. Pensavamo che avrebbe risolto tutti i nostri problemi. Lesse la sceneggiatura e diede il suo consenso, ma la Rca, sua casa discografica, oppose un netto rifiuto dicendogli che il film gli avrebbe rovinato la carriera. Rimpiange ancora di non averlo fatto». La scelta cadde su Lou Castel. «Cercavo attori al Centro Sperimentale, lo incrociai alla mensa e mi parve interessante. In lui c’era qualcosa che arricchiva il personaggio».