Operazione Macbeth: ardita sperimentazione
«Macbeth» di Shakespeare è un macigno nella storia del teatro mondiale, dove vengono affrontati tutti i possibili temi e problemi della struttura mentale e morale dell’essere umano: ambizione, brama di potere, tradimento, amore, odio, morte. Ma anche tutte le distorsioni che mente umana possa partorire, con relativo corredo di profezie, apparizioni, vaticini. Il regista Luca De Fusco ha abituato il suo pubblico già da tempo a una destrutturazione di macigni come il Macbeth, e in precedenza l’«Antonio e Cleopatra» o l’«Orestea», per restituirne l’essenza tragica in un gioco di contaminazione dei linguaggi. I suoi spettacoli non sono solo puro teatro, ma immagini cinematografiche, video, musica, danza e l’effetto è quello di una straniamento che trascina gli eventi, sviluppati nella trama, fuori dal contesto della rappresentazione tradizionale. Lo spettacolo, in scena al Quirino con Luca Lazzareschi e Gaia Aprea, si aggiunge al percorso che De Fusco segue da anni con successo. E stavolta, più che in passato, il delirio visionario dei personaggi, arricchito dalle sinistre presenze di fantasmi e streghe inquietanti, si trasforma nel tessuto stesso dell’azione scenica. Si celebra anche così il quattrocentesimo anniversario della morte del grande autore elisabettiano, ammesso che di un solo autore si tratti. Sempre più insistente sta infatti diventando l’ipotesi, formulata anche in studi recenti, che mette in discussione la vera identità di Shakespeare. Un mistero che dura da quattro secoli e che nei giorni scorsi è stato riproposto in scena con uno spettacolo ideato da Stefano Reali, dove si indaga sulla paternità delle opere del Bardo. Tant’è ma, tornando alla messinscena di De Fusco, il clima creato dalla coesa compagine di attori è quello di una drammaturgia potente, che supera schemi prestabiliti per sconfinare in un’ardita sperimentazione, attualizzando il testo originale.